Film del 1956 diretto da Mervyn LeRoy, trasposizione della piece teatrale di grande successo in quegli anni a Broadway The Bad Seed scritta da Maxwell Anderson e a sua volta ispirata all’omonimo romanzo di William March.

Trama: Rhoda è un’incantevole bambina di otto anni dalle lunghe trecce bionde che riceve amore incondizionato da tutti fuorché dal giardiniere di casa. Claude, compagno di scuola della bambina, dopo aver ricevuto la medaglia d’oro come miglior allievo della sua classe, annega in circostanze misteriose. Quello che era sembrato solo un drammatico incidente permetterà che la vera natura di Rhoda si manifesti in tutta la sua perfidia. 

Perché vederlo: In un periodo in cui Hollywood si pavoneggia scaraventando sul palco piccoli, adorabili prodotti di largo consumo quali Shirley Temple e Judy Garland, LeRoy se ne fa beffe creando la più terribile delle creature che racchiude in sé l’innocenza propria dell’infanzia e la cattiveria più schietta dell’età adulta.

Primo tra tutti dà vita all’ossimoro che porterà allo sviluppo del genere evil child trascinando sullo schermo un’ orribile bambina che si fa scudo dell’aspetto angelico per nascondere la profonda malvagità del suo animo.

Nel film trovano conferma le discutibili teorie lombrosiane secondo cui la crudeltà non è necessariamente figlia del disagio bensì di una incolpevole ereditarietà.

È quindi impossibile cercare di guarire questo malessere, Rhoda è allevata in una famiglia benestante e gode di tutto l’amore possibile, la colpa è tutta da attribuire a una stirpe i cui geni sono minati dalla crudeltà.

Diversamente da quanto si era visto in molti film di fantascienza in cui la paura dell’invasione rossa aveva spinto sceneggiatori e scrittori a immaginare nemici arrivati da lontano, qui si mettono in rapporto l’innatismo e l’ambiente sociale in modo che la società borghese comprenda che il pericolo non sempre viene dall’esterno.

Non sono tanto i gesti meschini a irritare quanto l’atteggiamento smorfioso di Rhoda capace di manipolare senza alcuna difficoltà anche gli adulti, piegandoli al suo spaventoso egocentrismo, almeno fino a quando la madre non prende consapevolezza di aver allevato una bambina cattiva e con il crescere delle certezze della donna riguardo alla malignità della figlia che non può certo trovare giustificazione, cresce anche il senso di angoscia dello spettatore.

LeRoy non ha il coraggio, o più probabilmente la possibilità, di soffermarsi sui gesti astiosi di Rhoda e invece di esasperarli per renderli più d’effetto fa in modo che si svolgano fuori schermo.

La regia è teatrale, quindi poco dinamica e la lunghezza del film eccessiva, ma i difetti tecnici non vanno ad intaccare il ritmo, merito anche della straordinaria interpretazione di Nancy Kelly che per questo film ricevette la nomination agli Oscar come miglior attrice, così come la piccola e convincente Patty McCormack.

Eileen Heckart nel ruolo della vicina di casa vinse un Golden Globe come miglior attrice non protagonista.

Il giglio nero rappresenta una decisa stoccata al moralismo borghese degli anni ’50, è un film che ha avuto il merito di preservare il suo macabro cinismo nonostante i problemi di censura.

Curiosità: Per mantenere il film entro i limiti del pubblico decoro e per rispettare le direttive del codice Hays ( insieme di linee guida che per anni ha dominato sulla produzione cinematografica statunitense) il finale venne totalmente snaturato tanto da contraddire quanto visto fino a poco prima.