Chiunque abbia visto qualche film del terrore con al centro una costruzione abitata da sinistre presenze si sarà trovato a chiedersi almeno una volta perché le vittime di turno (giovani coppie, gruppi di studenti, scrittori alla vana ricerca di ispirazione) non optino, prima che sia troppo tardi, per la soluzione più semplice - è cioè non escano dalla stessa porta dalla quale sono entrati, allontanandosi senza voltarsi indietro.

Bene, a tale domanda, meno oziosa di quanto potrebbe parere, questo romanzo di Shirley Jackson - il suo più noto - fornisce una risposta, forse la prima. Non è infatti la fragile, sola, indifesa Eleanor Vance a scegliere la Casa dilatando l’esperimento paranormale in cui l’ha coinvolta l’inquietante professor Montague molto oltre i suoi presunti limiti. É piuttosto la Casa - con la sua torre buia, le sue porte che sembrano aprirsi da sole, le improvvise folate di gelo - a scegliere, per sempre, Eleanor Vance. E a imprigionare insieme a lei il lettore, che tenterà invano di fuggire da una costruzione romanzesca senza crepe, in cui - come ha scritto il più celebre discepolo della Jackson, Stephen King - “ogni svolta porta dritta in un vicolo buio”.

Shirley Jackson - L’incubo Di Hill House

(The Haunting of Hill House)

Traduzione di Monica Pareschi

Adelphi edizioni, collana Fabula

II edizione: febbraio 2013 

233 pag.

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