Cinema.

Le luci si spengono e sullo schermo scorre il trailer di Silent Hill. Vado in estasi di fronte alle immagini e sprofondo nella poltrona pieno di speranza. Ma accanto a me c’è una coppia, il loro breve dialogo mi riporta alla realtà e intuisco ciò che mi aspetta: sta per iniziare Final Destination 3. Tuttavia penso: “Dai, il regista è James Wong, lo stesso del primo episodio… Non può essere così male”.

E poi inizia il terzo capitolo della saga. Protagonisti: un gruppo di adolescenti alle prese con la Morte. Fortunatamente sono sopravvissuto alla proiezione e sono qui a raccontarlo.

Lo svolgimento della trama è del tutto simile a quella dei primi due film, in particolar modo al capostipite della serie. Questa volta è la giovane Wendy (Mary Elizabeth Winstead), aiutata dall’amico Kevin (Ryan Merriman), a dover sventare i piani della signora con la falce.

Il film si apre con la solita visione dello pseudo-veggente di turno e con il solito incidente. Dopo una sciagura aerea e un mega-tamponamento automobilistico, stavolta la Morte ha scelto di fare la spiritosa sulle montagne russe e di vedere che effetto fa shakerare un gruppetto di ragazzi. La scena è ben fatta e rende perfettamente l’idea di una corsa a folle velocità. Si nota fin da subito una grande ostentazione di effetti speciali curati in modo maniacale. Ma sin dal primo incidente, si nota la sovrabbondanza di particolari inutili per allungare le scene oltre il necessario. Lo stesso espediente viene utilizzato in tutte le scene successive e questo provoca a lungo andare noia e fastidio.

Tutto ciò è senz’altro motivato dal ritorno dietro la macchina da presa di James Wong, autore del primo episodio (2000), sostituito per il secondo (2003) da David R. Ellis. Il marchio di fabbrica di Wong è l’attenzione e la cura meticolosa per le scene degli incidenti, che avevano contraddistinto il primo film. Ma adesso si nota la mancanza di idee e una certa stanchezza nella resa visiva. Nonostante alcuni episodi riusciti (come quello della pistola sparachiodi) i minuti scorrono lenti durante le descrizioni delle dinamiche che portano all’incidente.

E la cosa più sconfortante è la totale mancanza di storia fra un incidente e l’altro. Nel primo episodio tutto era sorretto da un'impalcatura narrativa abbastanza solida: gli incidenti erano distribuiti in maniera logica nello sviluppo della trama.

Ora, invece, le scene di morte sono delle isole desolate in un mare di ovvietà e di nulla. La vicenda è la stessa del primo film e non si cerca in nessun modo la novità o qualche sviluppo interessante, come avveniva invece in Final Destination 2. L’unica trovata originale è quella delle fotografie, attraverso le quali i ragazzi tentano di capire come colpirà la Morte.

Manca inoltre un reale senso di angoscia, che invece era presente nei primi due episodi.

Wong sembra puntare tutto sul divertimento e in parte sulla satira di costume, rappresentando dei giovani stereotipati e scherzando sui loro eccessi. Si hanno così le due ragazze figlie di papà e snob, il giovane atleta con poco cervello (guardate l’incidente e poi mi darete ragione), i giovani dark disperati e senza futuro. Le loro morti sembrano rette dalla pena del contrappasso e da un malsano umorismo. Si sente la mancanza di molti personaggi degli episodi precedenti, fra tutti il becchino, interpretato da Tony Todd, che in questo episodio deve accontentarsi di prestare la propria voce all’enorme diavolo posto all’ingresso delle montagne russe. Le ovvietà del film trovano il proprio coronamento con un finale assurdo e che non spiega nulla.

Il giudizio finale è totalmente negativo. Final Destination 3 non viene salvato nemmeno da un forte dubbio: quello della presunta censura sul film apparso nelle nostre sale, che sembra privato delle scene più gore e più violente. Vi sono spesso netti stacchi, specialmente quando l’immagine vuole indugiare su particolari raccapriccianti.

Facendo il punto della situazione sulla saga di Final Destination, bisogna ammettere che si è ora toccato il punto più basso e si spera di non scendere ancora di più.

Fra i tre episodi, quello più fresco e più originale sembra essere il secondo (Ellis ha poi avuto una buona riconferma con Cellular). Accelerando sul pedale dell’orrore e della paura, Ellis aveva dato personalità al film. Aveva poi eliminato le scene degli incidenti da tutto quel sovradosaggio di minuzie che sembra invece piacere tanto a Wong, focalizzando l’attenzione sull’effetto sconvolgente e sulla sorpresa, elemento totalmente assente nel terzo episodio.

Final Destination 3 comunque è piaciuto al pubblico americano, con un incasso importante nel primo weekend (http://www.horrormagazine.it/notizie/1926). In territorio italiano ha avuto un buon inizio collocandosi dopo il primo weekend al quarto posto degli incassi, mentre ora è al settimo posto con un incasso totale di 1.661.000 € (fonte: www.mymovies.it). La sensazione è comunque che Wong abbia scoperto come guadagnare soldi con un film senza spremersi troppo le meningi.