Davvero particolare questa uscita della nuova collana I Dobloni pubblicata non da un vero e proprio editore, ma da una libreria: il Covo della Ladra di Milano.

E se ciò può sembrare strano, è solo perché la storia dell'editoria non è abbastanza conosciuta, nemmeno da chi ci lavora. I primi editori fuori università, infatti, furono i librai, che per tutto il Settecento commissionavano le stampe (e spesso la scrittura) dei testi che proponevano alla clientela scelta; rendendosi responsabili non solo di produzione culturale, ma anche di campagne pubblicitarie, cause giudiziarie, traffico di opere proibite e persino di rocambolesche fughe. Tutto per amore dei libri, e naturalmente del guadagno che potevano procurare.

Immagino che il Covo della Ladra non abbia i problemi dei colleghi del Diciassettesimo secolo, eppure ne recupera la vocazione divulgativa: non più commissionando al filosofo di grido qualche gustoso libello, bensì recuperando scritti del passato, con la consapevolezza che il proprio pubblico di lettori possa gradirli (e acquistarli).

La mano tagliata è un romanzo gotico di Matilde Serao: un'autrice che da molti punti di vista fu in anticipo sul proprio tempo (1856-1927, prima donna italiana ad aver fondato e diretto più di un quotidiano, giornalista di inchiesta, candidata sei volte al Nobel per la letteratura) e che pubblicando un romanzo gotico-feuilletton nel 1912 sembra arrivare decisamente in ritardo.

Ecco la trama. Roberto Alimena è un dandy ricchissimo, nomade, arido e perennemente annoiato. Durante uno dei suoi innumerevoli viaggi in treno, trova uno scrigno dimenticato nel suo scompartimento da un viaggiatore misterioso e inquietante. Lo scrigno, scoprirà più tardi in albergo, contiene una mano. Una mano bellissima e ingioiellata, umana e perfetta come se fosse ancora parte di una donna viva e addormentata.

La scoperta di questa mano scatena in Alimena una smania forsennata: si convince di essere innamorato della donna a cui la mano è stata tagliata e inizia a cercarla.

Nel frattempo, un oscuro medico e scienziato (e negromante, e alchimista), di nome Marcus Henner, domina la mente di un vecchio ebreo per sposarne la figlia, Rachele Cabib; la quale invece lo odia e gli resiste, e ama in segreto Ranieri Lambertini, nobile amico di Alimena…

Si diparte così una vicenda abbastanza semplice, ma incredibilmente avvincente, che ci porta in giro per l'Europa, per le epoche e le culture.

(Quest'ultimo aspetto è piuttosto stereotipato e potrebbe essere inteso come antisemita; a discolpa di Serao si può dire che l'Olocausto era ancora da venire, e che in diversi libri contemporanei molti degli stereotipi qui presenti sopravvivono ancora.)

Tra indagini poliziesche, fughe, rapimenti e duelli, giungiamo a una conclusione intrecciata, nella quale molti nodi vengono al pettine, molti drammi si consumano, e le parole più importanti, quelle di una madre, restano fuori dalla nostra portata, destinate non a noi, ma all'unico cuore che potrà davvero capirle. Una scelta che ho apprezzato moltissimo, e che non pesa in nessun modo sulla comprensione dell'intreccio.

Ciò detto, La mano tagliata è un romanzo che tiene incollati alla pagina e che ci regala descrizioni incredibili: un Carnevale allucinato a Roma, il nero Tamigi e le sue stamberghe, il convento delle Sepolte Vive, i vicoli del ghetto di Trastevere… Inoltre, raccoglie in sé sia la tradizione gotica, quel Romanticismo degradato di negromanti innamorati e bianche donne recluse; sia la corrente successiva del dandysmo: Roberto Alimena, rinsecchito nella propria abulia, è un epigone dell'Uomo senza qualità di Müsil, il dandy da manuale che si circonda di lusso allo scopo di rendere la propria vita un'opera d'arte, obbedendo a una pulsione segreta di nichilismo e autodistruzione.

È forse l'incontro tra queste due grandi tradizioni, il gotico tutto palpiti e il decadentismo che pensa di non poterne più provare, che crea l'esplosione: il furore del protagonista, la sensazione rovinosa di un gioco già perduto in partenza, e un romanzo page-turner più e meglio di un qualsiasi thriller USA da scaffale.

Ed è forse la scelta demodé di una donna in anticipo sui suoi tempi che innesca tra le righe un'alchimia strana, nuova, ironica, inaspettata. Stai a vedere che Matilde Serao ha scritto un romanzo postmoderno, prima che il postmoderno fosse inventato?