Forse a qualcuno parrà strano che sia possibile sviluppare un’intera discussione sulla figura del vampiro all’interno dell’heavy metal italiano. I paletti - scusate il gioco di parole - sembrano restringere il campo così tanto da non lasciare niente da dire. Solo un genere musicale, solo un paese. Eppure, se dovessimo parlare del mondo intero, un volume di mille pagine non ci basterebbe. Nel panorama internazionale incontriamo nomi noti come i Cradle of Filth, gruppo symphonic black metal inglese nato nel 1991 e che ha incentrato gran parte dei suoi lavori sul vampirismo; gli esempi sono poi moltissimi, dagli ottantiani Venom agli svedesi Bathory, paladini del viking metal, dagli statunitensi (blak/thrash) Iced Heart ai portoghesi Moonspell, dal dark dei Bauhaus ai punk/emo My Chemical Romance, dagli argentini Vampiria ai famosissimi Sting e Annie Lennox, gli artisti che hanno dedicato almeno una canzone all’affascinante figura del vampiro non mancano certo. E da noi, in Italia, la Premiata Forneria Marconi ha dedicato un’intera opera rock alla figura di Dracula. Eppure, nessuno di loro, possiede ambedue le caratteristiche: heavy metal e italianità.

Pur piantando queste coordinate, il discorso si farebbe comunque lungo e complicato, anche perché molte sono le band che trattano anche se solo di sfuggita la figura del vampiro (come per esempio i Labyrinth, i Vanexa o i Rhapsody o Fire, di cui parleremo in seguito) o gli dedicano un album (vedi sempre più avanti i Necrodeath). Ma ci sono tre gruppi che hanno incentrato in particolare il loro lavoro (o perlomeno in alcuni anni della loro carriera) intorno alla figura del vampiro: Death SS, Theatres Des Vampires e Mandragora Scream.

 

Tra i tre, i più ‘anziani’ e noti sono scuramente i Death SS.

Si formano a Pesaro nel 1977, per opera del chitarrista Paul Chain e dell’istrionico vocalist Steve Sylvester (la sigla sta per “In Death of Steve Sylvester” e niente ha a che vedere con le accuse di nazismo a cui il gruppo è stato spesso sottoposto), ma l’amicizia fra i due è già finita quando, sotto la direzione di Sylvester, il gruppo comincia a raccogliere il materiale composto in un long playing, nel 1988, a Firenze.

Sin dagli inizi il gruppo mostra interesse nel miscelare le suggestioni della cultura horror e i richiami esoterici su un impianto heavy metal, senza tralasciare l’aspetto visivo (trucchi, maschere, scenografie e coreografie delle esibizioni live). Nascono così le caratterizzazioni che accompagneranno i componenti della band nei primi anni dell’esperienza: il Vampiro (Sylvester), lo Zombie e la Morte (le due chitarre), la Mummia (il basso) e l’Uomo Lupo (la batteria).

Se i primi due album (In Death of Steve Sylvester, 1988 e Black Mass, 1989) si configurano come raccolte di materiale registrato o comunque scritto in precedenza, celebrazioni di quella cultura horror che ha il suo perno nei film della Hammer degli anni ’70, l’apice viene raggiunto dal celeberrimo Heavy Demons (1991), disco molto più orecchiabile e di facile presa.

Nel frattempo, dietro le maschere si avvicendano session man spesso diversi, fra problemi di formazione e contrattuali di vario genere, fino a che, nel 1996, il gruppo giunge a un accordo con la Self-Distribution e Sylvester fonda l’etichetta Lucifer Rising. Il gruppo comincia a raggiungere, disco dopo disco, risultati sempre migliori, sia dal punto di vista delle vendite, sia da quello tecnico, insieme a ingegneri del suono di fama mondiale, e a fissare la formazione più longeva: Sylvester (voce), Emil Bandera (chitarra), Kaiser Söse (basso), Oleg Smirnoff (tastiere), Anton Chaney (batteria).

In questa seconda fase, il gruppo si esprimerà soprattutto attraverso concept album, a partire da Do what thou wilt, del 1997, in cui le tracce diventano “Liber” e le tecniche occulte di Aleister Crowley si affacciano dalle liriche insieme ai numerosi rimandi simbolici cari a Sylvester.

Il successivo, Panic (2000), ci porta invece nel mondo del ‘teatro panico’ e della psicomagia di Alejandro Jodorowsky, mentre Humanomalies (2002) fra le ‘anomalie umane’ derivate in gran parte dall’immaginario dei freaks di Tod Browning.

The Seventh Seal (2006), fra richiami all’Apocalisse e all’omonimo film di Ingmar Bergman, giunge a chiudere il cerchio di quest’esperienza, sia dal un punto di vista musicale, sia da quello verbale.

Tempo fa ho curato per Horror Magazine uno speciale sui Death SS che si è configurato come una somma delle analisi track by track dei vari studio album, e a ben vedere anche come una sorta di romanzo che si dipana attraverso svariati capitoli (leggi qui); dato che lo spazio non mi permette di portare avanti un discorso simile, mi limiterò a riportare l’analisi della primissima traccia del primo disco, Vampire, che è anche uno dei cavalli di battaglia della band.

“I primi cinque brani sono dedicati ai personaggi incarnati dai membri della band. E’ un omaggio al vecchio film dell’orrore, all’immaginario dell’occulto, e l’avanguardia della scelta tematica, unita alle soluzioni musicali per l’epoca e il luogo estreme, ne fa un prodotto originale e interessante. Alcune scelte, al giorno d’oggi, possono apparire ingenue e acerbe, ma è certo che, sin dall’apertura, con le campane e i versi dei rapaci notturni, ci troviamo di fronte a qualcosa di accattivante. Il Vampiro narra le sue gesta con voce graffiante e minacciosa, orgoglioso della sua condizione, quasi insolente nei confronti delle limitate possibilità umane, ed è questo un modo per convincerci a farci assaporare il sangue ed entrare con lui nel “regno della notte”. La voce e le melodie vocali in genere hanno il ruolo principale in questo brano; il ritornello rimane tutt’oggi una delle prove di maggior presa dell’intera produzione della band: con la seconda sezione inizialmente raddoppiata all’unisono dalla chitarra solista, e poi protratta in strumentale fino alla ripresa vocale, pare volerci imprimere nella mente la melodia da ricordare fino alla replica. Il recitativo si conclude con terrificanti grida e risate…”

Quello che salta subito all’occhio è la classicità di questo tipo di vampiro: il dandy byroniano che sguscia fuori dai cult cinematografici e letterari del filone, non traspare solo dai testi verbali e dalla ruvidezza della musica, ma è anche sottolineato dall’immagine che Sylvester ne dà attraverso i costumi e la mimica, sia gestuale che vocale (vedi di seguito l'esibizione di "Vampire" a Videomusic - 1990).

E, difatti, nel corso di un’intervista da me condotta nel 2008 (vedi qui l’intera intervista), in riferimento alla nascita stessa del vampiro/cantante dei Death SS, Steve mi raccontò: “Sono sempre stato affascinato dal personaggio del vampiro e quando si trattò di scegliere il personaggio horror che avrei dovuto incarnare in questo progetto, non ebbi dubbi. Il vampiro che sentivo più vicino alla mia coscienza artistica era quello gotico romantico mutuato dai racconti di Byron e Polidori, dove veniva rappresentato come un dandy impenetrabile e seducente, un eroe maledetto e fatale che sa di rovinare gli altri ma anche se stesso. Un aristocratico che combatteva contro la società borghese che lo stava emarginando, un ribelle eternamente giovane, che si nutriva del sangue di una società malata e distruttiva. Ovviamente ho poi caratterizzato il personaggio modernizzandolo e cospargendolo con un pizzico di glam rock e fumetto.”

Il fumetto a tema vampirico è ancora fonte d’ispirazione per Sylvester. Sempre nel corso della suddetta intervista, dichiarò: “Credo che non riuscirei a sfuggire al morso fatale di Jacula Verdier o di Zora Pabst, le sexy-vampire protagoniste dei ‘fumettacci neri’ che consumavo avidamente nella mia infanzia. A distanza di tutti questi anni nessuno è più riuscito a riproporre le atmosfere allo stesso tempo spregiudicate, eccessive, ingenue e ammalianti dei personaggi creati da Renzo Barbieri e Giorgio Cavedon durante la loro travagliata esistenza editoriale. All’epoca le loro produzioni furono a lungo osteggiate e screditate dai ‘benpensanti’, ma rappresentarono un momento fondamentale nella storia del fumetto e del costume italiano del periodo che va dalla fine dei ‘60 a tutto il decennio successivo. Oggi, per fortuna, un parte della critica più colta e obiettiva ha iniziato a rivalutare questi piccoli capolavori del trash Made in Italy, e personaggi come le due succitate vampire, assieme alle loro compagne di avventura Isabella de Frissac, Sukia, Jolanda, Vartan, Hessa, Walalla, Yra, Jungla, Bonnie, Lucifera, etc., hanno finalmente raggiunto la meritata collocazione all’interno di quell’Olimpo violento e voluttuoso dell’arte “vietata ai minori”.

Nonostante questo, l’evoluzione dei Death SS ha portato Sylvester non solo a un cambio di direzione a livello testuale e musicale, ma anche iconografico, trasformando il vampiro classico delle origini in una sorta di personaggio fantascientifico che della prima incarnazione raccoglie solo i tratti (vedi immagine a sinistra); così come le copertine, da immagini riproducenti il vampiro o i mostri della band, giungono a raffigurazioni più legate al concept dell’album. Cosa che si riflette anche nei gusti personali attuali di Steve, che non lo vedono legato solo a testi o ai film cult del passato, ma anche a serie contemporanee: “Mi piace tutto l’universo orrorifico, classico o moderno che sia. Una serie che mi è piaciuta in tal senso recentemente è quella di The Walking Dead mi ha rivelato nel marzo scorso. Non proprio vampiri, ma sempre all’universo dei non esattamente morti appartengono.

Dalle nuove formazioni in campo musicale (Sancta Sanctorum e W.O.G.U.E.) ai progetti televisivi (ricordiamo l’apparizione della band con Sylvester co-protagonista di Giampaolo Morelli nell’episodio 666 della quarta stagione di L’ispettore Coliandro dei Manetti Bros, nel corso della quale, tra l’altro compariva una scena dell’esibizione live di Vampire (leggi qui l’intervista a Marco Manetti condotta in occasione della messa in onda della puntata) e cinematografici (Steve è a lavoro sul suo primo lungometraggio), Sylvester è in continuo fermento e, nonostante l’esperienza con i Death SS sia al momento accantonata, ci aspettiamo sempre che l’antico vampiro possa saltare fuori da un momento all’altro: “L’esperienza Death SS è stata una parte molto importante della mia esistenza e durante questi 30 anni di attività credo di essere riuscito nel non semplice intento di non ripetermi mai, esaminando sempre nuovi aspetti del ‘lato oscuro’ del mio percorso artistico. Pertanto non voglio correre il rischio di produrre qualcosa di già sentito o non sufficientemente ispirato. Un nuovo studio-album uscirà solo se ne varrà veramente la pena.”

Recentemente il fan club ufficiale della band ha messo in vedita un doppio CD antologico dal titolo All the colors of the dark (leggi qui)

Una curiosità che è un po’ il paradosso del vampirismo: Steve Sylvester è vegetariano ed è addirittura impegnato contro la violenza sugli animali: “Amo moltissimo tutti gli animali, per questo bevo solo sangue umano, scegliendo tra le persone più stronze... Per fortuna mi basta una bevutina ogni tanto, senza uccidere nessuno. A ogni modo la riserva di stronzi è quasi infinita...”

Non troppo dissimili dalla visione di Sylvester, ma neanche così associabili, i Theatres des Vampires portano in scena, come protagonista, la figura femminile.

Inquietanti, ipnotici, estremi, macabri, sensuali, teatrali, barocchi, primitivi... questi e molti altri sono gli aggettivi con cui potrebbero essere presentati. E non solo per quanto riguarda la musica: la band si caratterizza anche per scenografie e abbigliamento molto appariscente (l’aspetto acquista un minor spessore col trascorrere degli anni): dal sangue sul palco agli abiti fetish.

I Theatres des Vampires si formano a Roma nel 1994 per opera di Alessandro Nunziati (Lord Vampyr) e Roberto Cufaro. Sin dagli esordi, l’immaginario preponderante dei testi e delle scenografie è quello del vampirismo. Musicalmente parlando, se i primi album sono improntati più verso il black metal gotico, nel corso degli anni hanno attraversato vari tipi di contaminazione, dall’industrial alla darkwave, per approdare a un rock melodico di stampo comunque gotico.

L’esordio vero e proprio risale al 1995, con la demo Nosferatu, Eine Symphonie des Grauens, mentre la prima uscita ufficiale è dell’anno successivo, con Vampyrìsme, Nècrophilie, Nècrosadisme, Nècrophagie. Si tratta di una sorta di black metal con influenze gotiche, molto grezzo, soprattutto in relazione alle parti growl e in recitativo. I testi sono abbastanza stereotipati (pipistrelli, corvi, lupi, bare, vergini, crocifissi, nebbia); ma già dal secondo album (The Vampire Chronicles, 1998), le cose cambiano: troviamo più riferimenti mitologici all’interno dei testi e meno durezza nella costruzione dei brani. I richiami sono anche alla cinematografia di genere e alla relativa tradizione di colonne sonore. Il black metal dei Theatres Des Vampires si fa ancora più melodico col terzo album, Bloody Lunatic Asylum, del 2001, dove risaltano sempre più le raffinatezze degli arrangiamenti e i riferimenti alla cultura europea; nello stesso anno, il Vampyria Gothic Cafe, per celebrare il 570° anno dalla nascita di Vlad Dracul, decide di produrre con i Theatres Des Vampires un mini CD dal titolo Iubilaeum Anno Dracula. Suicide Vampire, del 2002, tratta in modo più specifico delle emozioni provate dai vampiri, nei testi risulta molto corale (spesso è usato il pronome “we”) e, del resto, il lavoro sui cori è stato l’aspetto maggiormente apprezzato dell’album.

La svolta arriva nel 2004, con il concept Nightbreed of Macabria. I Theatres Des Vampires abbandonano quasi completamente il black delle origini per spingere il gotico verso elementi più sinfonici, e tutto appare più melodico e orecchiabile. Tematicamente parlando, a partire dalla copertina, il richiamo è all’opera di Tim Burton, così come burtoniana è appunto Macabria, la città immaginaria presentata a partire dal titolo. Con

Pleasure and Pain (già dal titolo si intuisce la sensualità delle liriche), del 2005, si prosegue nella direzione melodica dell’album precedente, con tastiere e voce femminile in primo piano. Si tratta difatti del primo album in seguito alla dipartita di Lord Vampyr, e Sonya Scarlet è rimasta l’unica vocalist della band.

Che i Theatres Des Vampires si siano indirizzati sempre più verso il commerciale è sancito dall’album del 2008 Anima Noir: oltre al gotico e al sinfonico, si fanno sentire molto forti le influenze dell’elettronica e della darkwave. A livello testuale, i vampiri, pur se ancora presenti nell’immaginario della band, non vengono mai nominati (così come succederà anche nell’album successivo) e “sangue” solo in rare occasioni.

Moonlight Waltz (recensito qui) è uscito nel gennaio di quest’anno. Nono studio album del gruppo, si presenta più armonioso e orientato verso il sinfonico più che verso l’elettronica, e a cui hanno partecipato ospiti come Cadaveria, Eva Breznicar dei Laibach e Snowy Shaw dei Therion). Dall’album è stato tratto anche un videoclip, per il brano Carmilla (le suggestioni dunque rimangono, ma meno specificate da parole e luoghi comuni), girato dal collaboratore di Dario Argento David Bracci.

Parlando delle origini dell’amore dei TdV per i vampiri, in aprile (nel corso di un’intervista pubblicata interamente qui), la cantante Sonya Scarlet mi ha raccontato: “Ciascuno di noi nella band ha sempre amato il lato oscuro e dannato dell’esistenza, della non-vita, delle ombre che strisciano tra visionari deliri di interminabili notti senza Dio. È l’essenza pura e nera che si trascina dietro il tuo incubo migliore, che ti perseguita al punto da divenire necessario, così allucinante da essere magnifico. È il concetto stesso di sublime, terrificante meraviglia dalla quale non puoi distogliere lo sguardo rimanendone inebriato, sedotto, violentato fino a divenirne parte. La seduzione, la dannazione, la bellezza, il romanticismo, la bestialità, il sangue sono dentro di noi, sono lo specchio dell’umanità, dell’impulso primordiale sedotto dal dandismo dell’esistenza, dall’immortalità’, dal “per sempre”. Personalmente ho una notevole collezione di libri sui vampiri, dalle novelle più antiche ai romanzi più importanti, alle raccolte di racconti tratti dal folklore popolare, ai libri più moderni scritti nei giorni nostri. È una sorta di ossessione che mi porta a divorare ogni frammento riguardante l’argomento nonostante il mio ideale di “vampiro” sia ben lontano da tutto ciò. Non amo però le varie saghe che vedono la figura del vampiro ridotta allo stereotipo del teenager piuttosto belloccio che va a scuola con lo zainetto, gioca a football ed è dotato di superpoteri... no, non sono ancora pronta per tutto questo.”

E riguardo i riferimenti cinematografici e letterari: “Sicuramente Anne Rice rimane una delle nostre principali fonti di ispirazione, quantomeno i suoi romanzi fino a Queen of the Damned. Ovviamente non è un segreto e il nostro nome è un omaggio al suo teatro dei vampiri tratto da Interview with the vampire (...) Tim Burton rimane senz’altro tra i miei registi preferiti, amo tutti i suoi lavori, amo il suo particolare gusto artistico e la sua macabra genialità, così come amo il Dracula di Coppola che resta, a oggi, il mio film preferito insieme a Intervista col Vampiro di Jordan. Il mondo della notte, della letteratura decadente e crepuscolare ispira da sempre le nostre composizioni, da Baudelaire, a Flaubert, a Wilde, a Foscolo, Coleridge, Shelley, Byron, Polidori, Novalis, dalla filmografia più classica al più recente Lasciami entrare di Tomas Alfredson che adoro. Tutto può ispirare la nostra musica anche se non è affine al mondo del vampirismo, un colore, un quadro, un’emozione, la stessa vita.”

Parlando invece dell’evoluzione dei testi e della presentazione del concetto di vampiro: “Le lyrics dei Theatres des Vampires sono divise da un netto taglio che separa violentemente la produzione dei testi della vecchia formazione da quella  attuale. La mia visione del vampirismo, del mondo collegato a esso, delle mie visioni e sensazioni è senz’altro differente. I testi sono una mia creatura, sono il frutto di riflessioni, di letture, di esperienze profonde, sono parte della mia anima perché quando canto esprimo emozioni, grido il mio mondo, la mia rabbia, il mio amore, il mio dolore e avvolgo i nostri fan in un incantesimo che nasce dal cuore, perché chi ci ascolta sa di cosa parliamo. Non mi occorre usare e abusare della parola vampiro per esprimere la nostra essenza. Noi siamo quello che suoniamo, noi siamo la nostra musica. Potrei cantare la canzone con il testo più solare del mondo e riuscirei comunque a farvi sentire sempre la presenza di un’ombra nera che striscia sofferente dietro ogni parola senza bisogno di spiegare nulla.”

Il rosso e il nero dominano sia sulle cover che negli abiti di scena e, in relazione alle copertine e l’artwork, Sonya ha aggiunto: “Le idee non sono mai state un problema. Ogni volta ne dobbiamo selezionare solo alcune dalle decine che puntualmente ogni membro della band porta sul tavolo. Ogni dettaglio, ogni piccola cosa può essere importante e può scatenare la scintilla che porterà alla messa a fuoco dell’idea finale. Abbiamo poi uno staff di professionisti che ci aiuta a sviluppare i vari progetti, dalla fotografia alla grafica alla serigrafia. Il nostro è un team di persone affiatate che condividono lo stesso nostro punto di vista e lavorarci insieme è davvero meraviglioso.”

Probabilmente però, la band vampiresca più ‘moderna’ (nel senso che non disdegna nemmeno riferimenti a Twilight), è anche la più relativamente giovane, ovvero i Mandragora Scream.

I Mandragora Scream vengono fondati a Lucca nel 1997 dalla cantante Morgan Lacroix; dopo un primo demo, nel 2000 entra nella band il cantante, chitarrista e compositore Terry Horn, e la band debutta con l’album Fairy Tales From Hell’s Cave (Nuclear Blast, 2001). Nel 2002, i Mandragora Scream pubblicano A Whisper of Dew, sempre con la tedesca Nuclear Blast. Il concept alla base del disco narra una storia di vampiri. Il terzo album, Madhause (2006), viene pubblicato invece dalla Lunatic Asylum Records. Nel 2007 esce il CD/DVD Dragonfly, che include video, tracce rimasterizzate e inediti. A marzo dello stesso anno la band pubblica il singolo Jeanne D’Arc. Il 2009 vede l’uscita del quarto album Volturna che, fra atmosfere gothiche e Industrial, torna a parlare specificamente di vampiri con un chiaro richiamo alla saga della Meyer. Il 2010 vede la band impegnata in un tour europeo con i 69 Eyes, mentre nell’aprile 2011 sono partiti insieme ai Cradle of Filth.

Per le liriche di A Whisper of Dew, i Mandragora Scream si sono ispirati a un testo sul vampirismo dello studioso di letteratura spagnola Julio Angel Olivares Merino, con sui sono entrati in contatto a seguito dell’uscita del primo album. Ma anche il quarto concept, Volturna, è incentrato su una storia di vampiri (la traccia Breakin’ Dawn è addirittura un omaggio alla celebre saga di Stephanie Meyer, e lo stesso titolo dell’album evoca noti siti toscani sfruttati anche dall’autrice statunitense).

Nel corso di un’intervista da me condotta nel marzo del 2011 (leggi l’intervista completa qui), la cantante Morgan Lacroix mi ha raccontato: “I messaggi sono molto differenti fra A Whisper Of Dew e Volturna. Il primo narra di un amore forte che nasce a prima vista fra due vampiri a cui si interpone l’invidia atavica di una strega che tenta in ogni modo di distruggerlo. Direi un tema alla fine molto moderno che possiamo riscontrare in ogni singolo minuto, ora e giorno della nostra vita. L’invidia invincibile di persone che continua costantemente a distruggere molte coppie. E anche qui potremmo aprire un monologo senza fine perché il vero amore vince sopra ogni cosa… Volturna lo adoro, è il mio album preferito, nel quale realmente il brano Breaking Dawn è stato un omaggio alla saga di Stephanie che io stimo in modo assurdo perché è riuscita a far amare la nostra stirpe anche ai più inetti che vivono su questa terra! Non credi per questo meriti rispetto? Non ci sono riusciti personaggi illustri in tutti questi anni! Comunque la sostanza di Volturna parla di un viaggio che io ho fatto a Sovana, vicino a Volterra. Mentre percorrevo le “Vie Cave” sono finita in una specie di trance, nel corso della quale ho vissuto attraverso gli occhi di mio padre (apparso all’improvviso in questa mia visione  dall’aldilà). Non sto a narrarti la storia che poi sarebbe il concept di Volturna, ma ti dirò che il suo contenuto spiega quanto sia impossibile,

alla fine, sfuggire a un amore destinato. Se viene percorsa una strada alternativa a quella “giusta”, “destinata” ci possiamo ritrovare a vivere strade parallele alla nostra ma che porterebbero solamente a distruzione. Hai presente il film The Butterfly Effect? Proprio così.”

Riguardo le influenze orrorifiche: “Sono moltissime, per quanto riguarda sia libri che film, la maggior parte sono decadenti, romantici ma allo stesso tempo passionali come: Wilde, Baudelaire, Shakespeare, Bram Stoker, Mary Shelley, Lord Byron, Edgar Allan Poe; serie televisive: Lost, Dead Like Me, Dexter, Alias, Six Feet Under, Twin Peaks. Come gruppi musicali? Sono davvero, davvero parecchi. Ti dirò quelli che ascolto di più: Muse, HIM, Marilyn Manson, Dare, Bruce Springsteen, Elvis, una valanga di country e musica degli indiani d’America. Sono molto amante delle figure leggendarie,  ma quelle  che in assoluto amo di più sono Morgana, Merlino e Giovanna D’Arco.”

Infine, in merito all’artwork: “Sono io che mi occupo di artwork, montaggio video ecc. Non mi piace affidare ad altri ciò che deve esprime i Mandragora Scream, non potrei mai, l’unica persona alla quale permetto ogni cosa è Terry. Le idee nascono nei momenti più impensabili, ma non posso svelarli.”

 

Tutt’altro genere e tutt’altre atmosfere ci arrivano dal black/thrash dei Necrodeath e dal loro album dedicato alla figura di Dracula.

I Necrodeath si formano a Genova nel 1984 per opera del batterista Peso e del chitarrista Claudio; la demo The Shining Pentagram risale all’anno successivo. Nel 1987 avviene il debutto discografico con Into the Macabre, album thrash metal molto violento. Del 1989 è Fragments of Insanity, ma la band si scioglie. Dopo otto anni, i Necrodeath tornano con una nuova formazione: oltre a Peso e Claudio, troviamo alla voce Flegias e al basso John, formazione con cui danno alle stampe Mater of All Evil (1999), Black As Pitch (2001) e Ton(e)s of Hate (2003). In 100% Hell (2006) compare invece il chitarrista e compositore Andy, al posto del fuoriuscito Claudio; nel disco troviamo come ospite anche Cronos dei Venom.

Con la Scarlet Records, nell’ottobre 2007 il gruppo pubblica Draculea, un concept album dedicato al conte Vlad Ţepeş. Il disco vede la partecipazione del chitarrista dei Labyrinth Pier Gonella, che poco dopo entra in pianta stabile insieme al bassista GL. Nel maggio 2009 esce Phylogenesis, concept sulla genesi umana, e a febbraio 2010 i Necrodeath celebrano i 25 anni di attività con un album di cover, Old Skull, con la partecipazione di alcuni ex membri. Di recente è uscita una loro raccolta, accompagnata da un tour (leggi qui).

Di vampiri i Necrodeath già avevano parlato nell’ottava traccia di Into The Macabre, The Undead, ma è con l’album dedicato a Dracula di vent’anni dopo che entrano in maniera più approfondita nell’argomento. L’album contiene una cover di Countess Bathory dei Venom e un rifacimento della loro Fragments of Insanity dall’album omonimo del 1989.

L’album parte con un’introduzione in rumeno (V.T.1431) alla storia di Dracula. Sin dall’inizio ci accorgiamo che grande risalto verrà dato al ricreare l’atmosfera. Campionamenti, voci aggressive, ritmi tribali, assoli lancinanti, grida agghiaccianti. Il tutto però lungo un filo conduttore molto narrativo, dalla festa nella residenza di Tirgoviste al brano speed incentrato sulla figura di Dracula stesso (cantato al contrario). L’outro riprende l’intro: stavolta una voce femminile, in recitativo, ci comunica che Dracula è ormai morto decapitato, ma il sangue è vita, e tutto lascia intuire che la storia non sia finita qui.

“Vlad Tepes ha da sempre influenzato letteratura e cinematografia in modo esponenziale, grazie alla sua forte immagine che evoca i classici stereotipi del gothic, dell’horror e del romanticismo” mi ha raccontato il cantante Flegias in riferimento allo spunto per l’album. “Trattando musica estrema non potevamo esimerci dall’avere a che fare con un personaggio di questo calibro. Sangue, vendetta, determinazione, autostima e una forte passione per le cose che ami, sembrano essere le cose che più accomunano le nostre solite tematiche a lui, e per questo abbiamo voluto dedicargli un intero concept album. Per poterci contraddistinguere da tutta la massa di gruppi metal che trattano la cosa da un punto di vista fantasioso, noi abbiamo ripercorso tutta la sua vita attraverso le sue gesta da condottiero in battaglia e da carismatico capo di un popolo. Il modo in cui dettava legge e puniva i sui nemici era esemplare, tutt’oggi i rumeni lo ricordano con estremo orgoglio e vanto. Abbiamo avuto l’opportunità di suonare in quella nazione proprio nel tour promozionale di Draculea e ci siamo resi conto di quanto sia radicato il suo ricordo.

“Di solito curo sempre io i video delle mie band, essendo il mio lavoro principale” mi ha rivelato il cantante Flegias. “Per quanto riguarda Smell of blood è stata l’unica volta in cui ho delegato una parte a terzi. I combattimenti sono stati filmati e diretti da Stefano Milla, tutto il resto, compreso il montaggio è opera mia”.

Riguardo la traccia di Into the Macabre: “all’epoca di "Into The Macabre”, l’argomento fu appena sfiorato proprio con quel pezzo e già allora si voleva proporre il personaggio da un punto di vista storico ma comunque farcito di nessi horror/letterari attinti direttamente da Bram Stoker. La fonte orrorifica principale di quell’album rimane legata comunque all’immaginario Lovecraftiano e ai miti dei Grandi Antichi. Innegabile rimane, comunque sia, il fascino che i vampiri abbiano esercitato su tutti noi. Trovo che il romanzo più bello in assoluto che abbia mai letto sia Carmilla di Le Fanu.”

Probabilmente, fra i gruppi menzionati, i Necrodeath risultano quelli di più difficile ascolto per chi non è avvezzo al genere, pertanto le parole di Flegias potranno essere di aiuto in caso di un eventuale ascolto: Draculea è un album di sano black/thrash come solo noi sappiamo fare (nel senso che altro non siamo capaci di fare). Non mi sento di consigliarlo a chi non mastica metal, ma con il senno del poi, mi sono reso conto che certe atmosfere hanno catturato l’attenzione anche di chi non ascolta di solito questo genere. Se proprio devo puntare sulla convinzione, suggerisco di mettere sul vostro lettore DVD uno di quei vecchi film in bianco e nero su Dracula, togliere l’audio, accendere qualche candela con il favore delle tenebre e spararsi a un volume discreto Draculea in cuffia. Il risultato non può lasciare indifferenti.

I Rhapsody of Fire non hanno dedicato particolari album o brani alla figura del vampiro, ma in qualche modo l’argomento salta fuori dai loro lavori.

Luca Turilli e Alessandro Staropoli, chitarrista e tastierista, fondano il primo embrione della band che esordisce con l’album Legendary Tales (alla voce ce’è Fabio Lione proveniente dai Labyrinth): il neoclassical metal si unisce a un tipo di orchestrazione classica e barocca che rende subito riconoscibile lo stile della band. Sul piano testuale, Luca Turilli inventa due saghe fantasy: la Emerald Sword Saga e la Dark Secret Saga, che saranno il filo conduttore dei dischi della band.

Il successo è immediato a livello internazionale: 6 album in 7 anni, più singoli ed EP, per un totale di oltre un milione di copie vendute, e la continua ricerca di una sorta di colonna sonora per le gesta dei paladini di cui Turilli narra. La band incide un disco con la Bohuslav Martinu Philharmonic Orchestra, più un coro di oltre 40 elementi, fino a coniare la definizione “Film Score Metal”: in Symphony of Enchanted Lands II: The Dark Secret (2004), compare in veste di narratore il vampiro cinematografico per eccellenza Christopher Lee (anche lui stimato musicista e cantante lirico) mentre, nel singolo del 2005, The Magic of the Wizard’s Dream Lee duetta con Lione e compare anche nel videoclip tratto dal brano.

Dopo altri album e vari tour, nel 2009 la band sigla un accordo con la tedesca Nuclear Blast e nel 2010 viene pubblicato il terzo capitolo della "Dark Secret Saga”: The Frozen Tears of Angels.

All’interno della saga narrata nel corso dei loro album, in un paio di brani, Turilli ha accennato ai vampiri che, insieme ad altre creature mostruose, escono dalle voragini della terra per contrastare i paladini della storia.

(Purtroppo i Rhapsody of Fire sono l’unico gruppo che non ha collaborato rispondendo alle mie domande, dunque non mi è possibile riportare testimonianze dirette).

Anche il power dei Labyrinth ha incrociato la figura del vampiro. Formatisi inizialmente con Frank Andiver alla batteria, Andrea Bartoletti al basso, Andrea Cantarelli e Olaf Thorsen alle chitarre e Fabio Lione alla voce, esordiscono con No Limits nel ‘95. Nel ‘97 Lione lascia la band per entrare nei Rhapsody of Fire e viene sostituito da Roberto Tiranti (New Trolls); nel ‘98 esce così il loro album maggiormente apprezzato dalla critica: Return To Heaven Denied. Tiranti viene sostituito per alcuni mesi da Morby (Sabotage, Domine), mentre la band partecipa a Gods of Metal, Dynamo Open Air e Wacken Open Air, ma torna per la pubblicazione di Sons of Thunder (2000), che raggiunge la posizione 26 delle classifiche generali di vendita italiane. Nel frattempo, i Vision Divine diventano il progetto principale di Olaf Thorsen, che lascia i Labyrinth nel 2002. Il nuovo chitarrista viene trovato in Pier Gonella dei Necrodeath, mentre Tiranti partecipa al musical I Dieci comandamenti nel ruolo di Ramsete II. Nel 2004 si svolge un tour in Giappone e in autunno iniziano le registrazioni del nuovo album che uscirà nel 2005 con il titolo di Freeman. Dopo il tour come headliner si esibiscono come supporto a Dream Theater e Angra. Nel 2006 il bassista Cristiano Bertocchi lascia la band per entrare nei Vision Divine e al suo posto il basso viene suonato pe un periodo dallo stesso Tiranti. Nel 2007 esce l’album 6 Days to Nowhere. Thorsen è rientrato nella band in occasione dell’uscita di Return to Heaven Denied, Pt. 2 (2010).

I Labyrinth trattano la figura del vampiro nel brano Slave to the night, dall’album Labyrinth del 2003. Tiranti era solito eseguirla dal vivo ricoperto da un mantello.

Testo romantico più in senso letterale che letterario, con protagonista un vampiro “sempre alla ricerca di qualcuno che non può avere”, costretto invece a uccidere. “Purtroppo non c’è nulla di particolarmente interessante nella ‘scintilla’ che ha generato Slave to the night”, mi ha confessato Tiranti. “Ovviamente ho letto quasi tutto ciò che ha scritto Anne Rice da Intervista col vampiro fino alle Streghe di Mayfair. Nello scrivere i testi mi lascio trascinare dalle atmosfere che i riff di chitarra e gli arrangiamenti fatti dal resto della band mi comunicano al momento, e Slave mi ha portato decisamente in quella direzione. Ricordo che ci fu un’ulteriore ispirazione data da Gino Vannelli e il suo brano Moon over madness.”

Ho avuto il piacere di assistere allo show che i Labyrinth hanno tenuto a supporto dei Sonata Arctica all’Alactraz di Milano lo scorso 27 febbraio; è possibile leggere il Live Report qui.

Recentemente Roberto Tiranti è stato scelto per rappresentare l'Italia all'interno del progetto Japan Relief, insieme a personaggi di spicco quali Bobby Kimball dei Toto, Jeff Scott Soto e Charlie Dominici dei Dream Theater (leggi qui)

L'attuale bassista dei Labyrinth Sergio Pagnacco milita insieme a Tiranti anche in un’altra band storica del metal italiano: i Vanexa.

“Nel 1979 abbiamo scritto una canzone (in italiano) intitolata Mille Notti considerata la prima canzone speed metal della storia italiana” mi ha raccontato Sergio. “Mille Notti uscì successivamente in versione inglese (One Thousand Nights) nel primo album dei Vanexa nel 1983 (considerato dalla stampa il primo album di metal italiano). La canzone Mille Notti in italiano è uscita su un album retrospettiva per la Jolly Rogers Records su CD/LP limited edition color porpora sangue. Il testo racconta di un tizio diventato vampiro per volere di Vanexa (strega al servizio del diavolo)."

In merito alla figura vampiresca da cui si sente ispirato è molto chiaro: “Per me è esistito solo un vampiro: Bela Lugosi!”; ma le influenze sono varie: “Una mia autentica passione oltre che la musica sono i fumetti e il cinema. Non solo quello con la C maiuscola, ma soprattutto quello dei vecchi B-movies, d’orrore e di fantascienza. Sono sempre stato affascinato dai vecchi film dell’orrore in bianco e nero. Quando ero bambino, ero terrorizzato e affascinato da Dracula con Bela Lugosi, da Frankenstein con Boris Karloff, dal Fantasma dell’Opera con Lon Chaney... Ricordo che l’immagine di Bela Lugosi mi terrorizzò per molte notti, mi sembrava dovesse apparire, all’improvviso, nella mia stanza, all’ombra del suo mantello. A parte la paura, mi divertivo tantissimo perché spavento e divertimento spesso formano un connubio indissolubile. Mi ricordo con entusiasmo che nei primi anni ‘80 il chitarrista dei Def Leppard usava un’effige di Bela Lugosi sulla sua chitarra, e gli Iron Maiden avevano scritto la canzone Phantom Of The Opera. Sono un collezionista di vecchi B-Movie e penso che Plan 9 from Outer Space di Edward Wood sia il primo esperimento di crossover di tutti i tempi.”

 

Il tastierista dei Labyrinth Andrea De Paoli ha incentrato sui vampiri il brano Drops of the vampire all’interno di un progetto denominato Chaosventure. “E’ un progetto parallelo con importantissimi nomi a livello internazionale” mi ha detto Andrea. “Non si tratta di un lavoro strettamente metal, ma anche elettronico. Ideato da 3 tastieristi (Io, Christian Casini e Alberto Rizzo Schettino) è un viaggio attraverso sonorità elettroniche, ambient e metal. Drops of the vampire è sperimentale, mancano le chitarre. Il progetto ha catturato interesse e a mano a mano si sono aggiunti collaboratori importanti. Il drummer italo americano Tony Liotta (Santana, Sting, Tina Turner, Gianna Nannini, etc), Oleg Smirnoff (Death SS, Eldritch, Vision Divine) e alcuni grossi nomi che non possono essere ancora ufficializzati, ma aderiranno sicuramente al progetto. Se devo essere sincero, non mi sono mai interessato a vampiri o figure leggendarie particolari... mi sono ispirato a una persona, una donna con cui ho avuto un rapporto molto travagliato e che spesso assomigliava a una figura vampiresca di stampo gotico. Più che a figure letterarie particolari sono interessato alla storia moderna, alla tecnologia, la scienza, la controinformazione, i rapimenti alieni, i fenomeni ufologici in genere, al cosmo e alla forme di vita sconosciute e disperse nell’universo. Ciò non vuol dire che tutto il resto non mi incuriosisce, sono sempre alla ricerca di un’emozione, di curiosità dell’ignoto, che talvolta può essere anche rappresentato da ciò che non si conosce ma si vuole scoprire”, ha aggiunto. “Uno dei miei più grandi ispiratori di sempre a livello cinematografico è stato indubbiamente Stanley Kubrik. Amo anche i racconti di Lovecraft, Edgar Allan Poe, Stephen King, Asimov, Maurensig e tanti altri”.

 

Vale la pena di menzionare in chiusura il nuovo progetto progressive metal No Gravity del chitarrista Simone Fiorletta. Nato ad Alatri, in Provincia di Frosinone, ha pubblicato due full leght con i Moonlight Comedy con la label finlandese Lion Music, più quattro album da solista. I suoi dischi sono stati distribuiti, pubblicizzati e recensiti in 27 nazioni e ha avuto l’onore di collaborare con artisti del calibro di Neil Zaza, Richie Kotzen, David Cross, Primal Fear e Destruction. Il progetto No Gravity è uscito il 18 marzo scorso e conta svariati collaboratori italiani ed esteri di altissimo livello fra cui De Paoli alle tastiere, il vocalist tedesco Andy Kuntz e i nostri Fabio Lione, Roberto Tiranti e Michele Luppi (Vision Divine, Killing Touch, Mr.Pig e Thaurorod). È stato lo stesso Luppi a segnalarmi il progetto che contiene un brano dal titolo I’m Bleeding, composto da lui e Fiorletta; pur se altamente metaforico e autobiografico “potrebbe starci, visto che parla di una tipa che succhia emozioni creando morte nel cuore...”

Ringraziamenti - Oltre ovviamente a ringraziare tutti i gruppi citati, vorrei rivolgere un ringraziamento particolare anche agli altri membri del gotha del metal italico che con conferme, suggerimenti o comunque messaggi gentili mi hanno aiutata a raccogliere il materiale, in particolare (nomi dei gruppi rigorosamente in ordine alfabetico): Andy Panigada (Bulldozer), Cadaveria ‘Herself’ (Cadaveria), Dan Keyng (Cydonia), Enrico Paoli (Domine), Terence Holler (Eldritch), Nicola Favaretto (Ensoph), Maurilio Rossi (G.O.A.D.), Extrema, Freddy Delirio (H.A.R.E.M.), Danilo Bacherini (Sabotage), Cristiano Borchi (Stormlord), Rolando Cappanera (Strana Officina), Asma (Tossic), Stefano Tessarin (Vanadium), Cristiano Bertocchi (Vision Divine), Alessio Lucatti (ex White Skull).