Il figlio più ricco d’Inghilterra”, come lo proclamerà Byron - e al tempo stesso uno dei più eccentrici e scostumati gentiluomini del secolo -, nel 1786 pubblica, scritto in francese, un racconto orientale alla maniera delle Mille e una notte. Il califfo Vathek, animato da una prodigiosa fame fisica e di conoscenza e da un cinismo assoluto nel perseguire il proprio piacere, dopo mirabolanti avventure finisce, assieme alla sensuale Nuronihar e alla terribile madre, all’Inferno. In un inferno - come ha sostenuto Borges - che è “il primo realmente atroce della letteratura”. La terribile punizione finale, al pari del fantastico decoro orientale e soprattutto dello sfrontato umorismo, consentono a Beckford di esprimere una sensibilità morbida, una passione per l’irregolare, il perverso, il regressivo. Capolavoro di due letterature, in cui convivono il sogno orientale e l’ironia voltairiana, il gusto gotico e l’umorismo nero, “Vathek” costituisce un’opera sorprendente nella letteratura settecentesca.

William Beckford - “Vathek. Racconto arabo” (Vathek)

Traduzione di Giovanni Paoletti

Letteratura universale Marsilio,

edizione con testo in francese a fronte, giugno 1996

258 pag.

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