Il realismo fantastico

Nella difficile esegesi relativa all’immaginario lovecraftiano non v’è l’ esigenza di dover dare spiegazioni scientificamente dimostrate a tutto ciò che accade perché ciò minerebbe la naturale inclinazione immaginosa della letteratura fantastica ma, invece, si cerca di far leva sull’impossibilità umana, nonostante vi siano i mezzi e le conoscenze scientifiche, di dominare  una Natura  talmente meccanicistica e caotica da diventare  pericolosamente  imprevedibile fino a generare orrore cosmico. «Per tutta risposta, mi limiterei a dire che nessuno dei miei racconti aspira a precisione scientifica o a dichiarata universalità, essendo ciascuno di essi, più che altro, una mera trascrizione d’un singolo stato d’animo o di un’idea con relative ramificazioni fantastiche». Anche se Lovecraft tenta sempre, comunque, di rendere credibile il fantastico, ovvero di pervadere l’aspetto scientifico con quello ultraterreno in modo da far diventare  più coinvolgente e suggestivo il racconto. Difatti, la paura umana viene alimentata proprio dal fatto che l’avvenimento mostruoso potrebbe  anche accadere se si verificano certe combinazioni scientificamente probabili, i cui esiti sono  a noi incogniti.

Se per Schopenhauer l'uomo è almeno un "animale metafisico" che si domanda in continuazione il senso dell'esistenza,  per Lovecraft  invece l'uomo è un  misero "animale intrappolato" e abbandonato solo a sé stesso nella sperduta giungla dell'universo, senza  la Provvidenza  perché la vita viene inesorabilmente aggredita  da sconosciuti travolgimenti cosmici,  infestati da tenebrose creature mostruose, senza che la vittima abbia almeno  la speranza di salvezza in una  vita ultraterrena. L'unica possibilità di salvarsi  è legata solo alle  esclusive capacità e alle forze dell'aggredito.

Eterno Ritorno

In un  tale universo accecato e privo di una meta, dove l'esistenza  è in preda a un gioco crudelmente  incontrollato e ripetitivo che non distingue la vita dalla morte o  la giustizia dall'ingiustizia,    la  concezione dell' "eterno ritorno" di Nietzsche diventa forse leggermente  conforme all’espressione dell'indifferentismo di Lovecraft. «In ogni caso, il massimo che possiamo concepire è la nozione di ciclo – un ciclo o un infinito riassetto [dell’universo] ammesso che tale dottrina sia sostenibile. Nietzsche pensava a questo quando parlava di ewigen Wiederkunft. Nell’eternità assoluta non esiste né un punto d’inizio né una meta Quando il filosofo tedesco scrive ne La Gaia Scienza che cosa «accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: Questa vita, come tu ora la vivi e l’ hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione e così pure questo ragno e questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!» sembra evocare nettamente un brano di un racconto di Lovecraft sulla tragedia esistenziale dell'uomo travolto dalla spirale infinita del  caotico e ripetitivo terrore cosmico: in preda all'eterno ritorno di belve orrende e diaboliche dalle fattezze  demoniache, totalmente estranee al  pur minimo concetto di pietà o pentimento. Tipo il grottesco I topi nel muro (The Rats in the Walls) nel quale il personaggio viene costantemente e psicologicamente torturato dall’eterno  ripetersi di un ossessivo e «insidioso trepestio» di topi che si annidano nella mura e scorrazzano tra neri cunicoli «colmi di ossa morsicate, fracassate e crani aperti!» Un esempio evidente di eterno ritorno viene narrato nel raccapricciante racconto La morte alata (Winged Death), dove la terribile mosca dalle ali azzurre rincasa in continuazione nella stanza del medico per vendicarsi di un diabolico omicidio.

L’umanità è esclusivamente una spirale cieca in cui, costantemente, s’inabissano ed emergono antiche e nuove civiltà, senza che possa esistere mai per nessuno una possibile egemonia eterna, in grado d’imporsi all’infinito con i suoi sistemi e con i suoi valori. Lovecraft, nel famoso racconto Il richiamo di Cthulhu (The Call of Cthulhu), ne dà un esempio  mitico e scrive: «Ciò che è risorto può sprofondare, ciò che è sommerso può riemergere.» Niente  può fuggire all’obbrobrioso e inatteso divenire della materia cosmica dove solo l’eterno ritorno del caos è l’esclusivo regnante, pienamente sovrano degli abissi, senza né base e né fine. Per comprendere l’abissale incubo lovecraftiano dobbiamo immaginare un universo impazzito che «gira senza meta dal nulla verso l’esistenza e dall’esistenza verso il nulla», totalmente estraneo e ignaro ai desideri e alle necessità della nostra vita. L’eterno ritorno del caos impone l’egemonia dell’orrore cosmico sulla vita planetaria e ne provoca il conseguente nichilismo.

L’eterno ritorno è una manifestazione universale e naturale del “Nulla”. Per Nietzsche, l’uomo può superare tale situazione nichilista se reagisce in una volontaria e attiva accettazione dell’eterno ritorno con la conseguente liberazione della volontà di potenza immersa nell’energia creativa e nella gioia dello spirito dionisiaco. Lovecraft, al contrario,  non  oltrepassa il nichilismo perché interpreta con orrore l’eterno ritorno  e finisce così nell'evolvere la condizione umana, nella migliore delle ipotesi, all’interno di un’onirica dimensione materialista ma non pianificata: egli  vede, nel rifugio nel sogno e nelle visioni,  la possibilità umana di dar vita alle «più grandi creazioni dell’uomo» dove è  possibile «conquistare un po’ della gloria e della felicità a cui aspiriamo» senza fare la fine d’“inutili marionette” travolte e distrutte dalle onde furiose dell’oceano cosmico. Possiamo sostenere che Nietzsche e Lovecraft sono radicalmente contrari riguardo al rapporto psicologico esistente tra l’uomo e l’eterno ritorno: per il filosofo è godimento vitale, per lo scrittore è un atroce tormento.

Concetti tipicamente Nietzscheani come, per esempio, l’"amor fati" o il "superomismo", rappresentano una "fatica inutile" per l'ottica legata al materialismo-cosmocentrico dello scrittore dove, difatti, questi miti sono  totalmente estranei all'agire tragico del  sognatore  e solitario eroe lovecraftiano; occupato, oltre a non cadere in  preda alla follia,  a comprendere la vera  natura della realtà cercando di  salvare la propria  esistenza, contro quelle sgradevoli creature dell'umanità che, a volte, addirittura, fanno parte dello stesso patrimonio genetico dell'eroico protagonista. Si consideri, come dimostrazione, il personaggio di La maschera di Innsmouth (The Shadow over Innsmouth) il quale scopre, meravigliato, di non essere una creatura diversa da quegli orribili mostri che lo hanno  assediato, quasi a rivelare che non v’è differenza alcuna tra gli uomini e le belve.  

Bibliografia

H.P. Lovecraft, Teoria dell’orrore. Tutti gli scritti critici., op. cit., pag.65

Nietzsche, La Gaia Scienza, af. 341, intitolato “Il peso più grande”.

I topi nel muro in  HP Lovecraft. Tutti i racconti. 1923-1926, a cura di Giuseppe Lippi, Mondatori, Milano, 1990, pag. 23

Il richiamo di Cthulhu in H.P. Lovecraft, Il meglio dei racconti di Lovecraft, a cura di Giuseppe Lippi, Oscar Mondadori, Milano,1997,pag.88

cfr. Karl Lowith, Nietzsche e l’eterno ritorno, Editori Laterza, 2003, Bari, pp. 57-60

L’oceano di notte in HP Lovecraft. Tutti i racconti. 1931-1936, a cura di Giuseppe Lippi, Mondatori, Milano,1992, pag. 680. Racconto scritto con la collaborazione di Robert H. Barlow

cfr. Gianfranco de Turris & Sebastiano Fusco, L’ultimo  demiurgo  e  altri  saggi  lovecraftiani,  Solfanelli, Chieti,1989, pag. 153