I social network sono dei luoghi d’incontro virtuale, eppure negli ultimi anni, e con la moltiplicazione degli stessi, assistiamo a un fenomeno abbastanza preoccupante: la webcam ha sostituito l’incontro dal vivo così come la chat è diventata la prima forma d’interazione tra i giovani e non solo. Siamo costantemente connessi e abbiamo sempre meno barriere di protezione da quel mondo virtuale che può provocare un corto circuito con la realtà, fondendosi con quest’ultimo con risultati drammatici.

Come in Unfriended, l’innovativo horror diretto da Levan Gabriadze, distribuito in Home Video dalla Universal Pictures Italia, nel doppio formato DVD e Blu-ray ad alta definizione. La pellicola, evoluzione ideale in chiave cyber del mockumentary horror, sottogenere del cinema dell’orrore reso celebre da The Blair Witch Project, si svolge in tempo reale e in soggettiva all’interno di una chat di gruppo su Skype, dove degli amici del liceo amano incontrarsi. Una sera si unisce alla conversazione una loro compagna di classe, lasciando i ragazzi sconvolti: la nuova partecipante è, infatti, Laura, una ragazza che esattamente un anno prima si è tolta la vita e ora in cerca di vendetta contro quegli amici che l’hanno tradita. Tra suoni tipici della chat di Skype, sovrapposizioni di finestre, collegamenti continui con Facebook e Youtube, Unfriended si lancia in un esperimento mai tentato prima, raccontando una storia che si svolge interamente sul web a dimostrazione di come quest’ultimo non possa proteggerci, soprattutto se siamo responsabili di un tragico evento. In occasione dell’uscita in Home Video di Unfriended, facciamo un breve viaggio all’interno del cinema horror, alla ricerca di pellicole fortemente condizionate dall’elemento tecnologico, cominciando da Smiley.

Film d’esordio di Michael  J. Gallagher, ha già nel titolo un richiamo al mondo d’internet, e delle chat in particolare: l’assassino della pellicola ha, infatti, una maschera che ricorda una versione horror della celebre emoticon con il sorriso. Smiley è, all’apparenza, solo una urban legend, terrorizzante  ma innocua e per questo un gruppo di ragazzi, per evadere dalla noia quotidiana, decide di invocarlo, nominando tre volte il suo nome. Quest’ultimo appare superando il confine della finzione per sbarcare nel mondo reale e compiere una carneficina. La pellicola, al di là del canovaccio horror, offre diversi spunti interessanti e ci aiuta a riflettere sui nostri comportamenti in rete e sull’utilizzo spesso sconsiderato del mezzo internet che soddisfa una esigenza voyeuristica un tempo rimasta latente. Eppure il rischio che corriamo è notevole, basti pensare alle vittime del cyberbullismo  che hanno vista la loro vita rovinata a causa di momenti di vita intimi e imbarazzanti, ripresi e trasmessi sul web  e diventati  in breve tempo virali.

Un utilizzo eccessivo e continuo delle nuove tecnologie può provocare, oltretutto, uno stato di alterazione della realtà e farci scivolare in un vortice di solitudine, come nel film Pulse, titolo originale Kairo.  

Film horror diretto nel 2001 da Kyoshi Kurosawa che racconta di una umanità prossima all’apocalisse, provocata dalla connessione con un sito internet che propone l’incontro con un fantasma, facendo piombare gli utenti in uno stato di depressione e malinconia, risucchiando la loro energia vitale fino alla morte.  Una critica, neanche troppo velata, alla società nipponica, spesso riconosciuta come una delle più tecnologiche, dove l’utilizzo di pc e cellulari all’avanguardia ha provocato un aumento imponente delle interazioni  virtuali a discapito dei legami umani reali.  Pulse fu un grande successo di critica e pubblico e nel 2006 fu realizzato un sequel hollywoodiano, diretto da Jim Sonzero e sceneggiato da Wes Craven, che non riuscirono a riproporre quella  sensazione  di inquietudine presente nella pellicola originale.

I social network son utilizzati soprattutto per rimanere connessi con famigliari o amici, ma non è raro assistere a servizi on line che garantiscono di trovare un’anima gemella, o di coltivare nuove amicizie, favorite dall’ anonimato e dalla maggiore riservatezza dell’utente, “al sicuro” davanti al pc rispetto all’imbarazzante approccio e incontro dal vivo. Eppure è proprio quella mancanza di contatto visivo a essere pericolosa, perché su internet ognuno può crearsi una identità diversa, un profilo fake che può essere utilizzato nel peggiore dei modi, come in Black Symphony, horror di stampo iberico realizzato da Pedro L- Barbero e Vicente J Martín, ambientato nella cittadina universitaria di Salamanca, in Spagna. Qui un assassino vestito da menestrello uccide gli studenti meno meritevoli dell’università, colpendo ragazzi che hanno sostenuto esami con esito negativo, adescando gli stessi tramite una chat e registrando gli omicidi con una videocamera, provando un sadico piacere dall’esibizione delle proprie perverse “imprese”. Divertente, anche grazie all’ambientazione europea che si distacca dai classici teen horror d’oltreoceano, Black Symphony ci ricorda come a volte, sia meglio non dare confidenza agli sconosciuti. Soprattutto quelli conosciuti su internet. Quest’ultimo rappresenta sempre più una effimera valvola di sfogo dalle nostre insicurezze, consegnate a un alter ego virtuale lontano dalla nostra reale personalità. Il web, infatti, da spazio a tutti, anche a efferati serial killer che utilizzano piattaforme online per coltivare il loro perverso e insano bisogno voyeuristico, come nel film Nella rete del serial killer, dove un assassino tortura e uccide innocenti su un sito internet, ricevendo diverse connessioni, a testimonianza di una alterazione della realtà degli utenti morbosamente coinvolti da immagini che dovrebbero provocare semplicemente sgomento e disgusto. Eppure, le numerose visualizzazioni di video agghiaccianti, come le esecuzioni perpetrate dai tagliagole dell’Isis, dimostrano come la nostra società possa essere pervasa da una malsana curiosità.

Un utilizzo esasperato del computer, infine, può  provocare alienazione, solitudine e allucinazioni, anche nel caso di una fruizione ludica.  Come in Brainscan – Il gioco della morte, film diretto nel 1994 da John Flynn. Il protagonista della pellicola è Michael, un ragazzo rimasto traumatizzato dalla prematura scomparsa della madre e al sicuro solo nella sua stanza, dove coltiva una passione per la tecnologia e i videogame. Sarà proprio un videogioco, però,  a portarlo sull’orlo della pazzia, con il ragazzo ormai incapace di distinguere tra virtuale e reale e convinto di essere il responsabile di feroci crimini. Un cortocircuito, tra due mondi separati, evidenziato maggiormente ne Il tagliaerbe, pellicola diretta da Brett Leonard e ispirata a un racconto di Stephen King che, in seguito, si dissociò dalla pellicola, effettivamente distante dal suo racconto originale. Il tagliaerbe ha avuto il merito di portare sugli schermi concetti come il cyberspazio e la realtà virtuale in un’epoca dove non si era ancora realizzata la diffusione mondiale di internet e pochi anni dopo l’antesignano Tron, cult di genere fantascientifico diretto da Steven Lisberger nel 1982. La pellicola racconta la storia di un giovane affetto da un ritardo mentale, vittima dei folli esperimenti di uno scienziato che intende potenziare le  attività celebrali del giovane con immersioni nella realtà virtuale e la somministrazione di droghe sintetiche fino al tragico epilogo: il protagonista dell’esperimento  inizia a sviluppare poteri come la telecinesi e la telepatia e brama di conquistare il mondo, entrando in tutte le reti della terra e governandole sotto forma di energia pura, invincibile e inarrestabile.