Potete immaginare questa rubrica come una di quelle bancarelle piene di libri ammuffiti e vecchi film registrati su nastri logori. Oppure come la cantina di HM, con gli stessi libri e gli stessi vecchi film. Comunque sia, ci sono centinaia di scatole appilate le une sulle altre, piene di roba che forse nemmeno immaginate. Qualcosa sì, riconoscete... qualcosa che magari appartiene alla vostra infanzia infelice, o avete intravisto, una volta, in quella piccola libreria che adesso non esiste più e non siete mai riusciti a ritrovare. Hey, guardate qua! Ci sono anche quei fumetti un po' spinti che tanto andavano di moda negli anni '70, quelli che nascondevate in fondo all'armadio perché mamma non li trovasse.

Insomma: c'è un mucchio di roba davvero. Un po' per volta apriremo ogni scatola, anche quelle su cui camminano i ragni, quelle là in fondo, così piene di polvere...

Memorie di un ratto

di Andrzej Zaniewski

La gaia scienza, Longanesi, 1994

Titolo originale: Szczur

Traduzione dal polacco di Luca Bernardini

Un po’ fuori della città, negli edifici di mattoni che sorgono lungo il fiume, gli uomini allevano i maiali. Tanti maiali enormi. […] Il profumo della carne di maiale mi riempie le narici. […] Mi scelgo il maiale più grosso, pesante, quasi immobile, gli salgo da dietro sulla groppa, squarcio a morsi la pelle, mangio. […] Mi aggrappo con gli unghielli al suo dorso e affondo i miei morsi nel suo lardo saporito, pulsante e sanguinolento. Caldo sangue cola giù lungo la pelle.

Vita difficile, quella del ratto. Nella cantina di una panetteria, un ratto nasce al buio, circondato da odori grevi e caldi che impara a riconoscere e a distinguere da quelli, ostili, delle altre famiglie di ratti. Impara a procacciarsi il cibo, e a uccidere: uccidere, se occorre, anche i ratti più piccoli, i più deboli, quelli che non ce l’avrebbero fatta in ogni caso. Impara, poi, ad evitare le trappole e le esche avvelenate, che contrassegna con i propri escrementi. Impara, quasi subito, a riprodursi, e più volte ingraviderà la femmina che era stata sua madre e che morirà murata nella propria tana, dopo aver ucciso i tre rattini rimasti con lei e averne bevuto il sangue, i denti consumati fino alle gengive nell’inutile sforzo di rodere il mattone che la imprigiona.

Fogne, cantine, sotterranei, gallerie, pozzi, pattumiere, discariche, magazzini, dispense, pollai, porcili, stalle, treni, navi: questi i luoghi della storia del ratto. Un ratto esule, che vive al limitare tra il mondo degli uomini e quello dei ratti domestici, stanziali. Una nave lo porta ai tropici, dove conosce i serpenti, gli insetti velenosi e i ragni. Tornato al porto dove si era imbarcato, trova la città in fiamme per i bombardamenti, e uomini affamati che gli danno la caccia per mangiarlo, perché ormai non ci sono più né cani né gatti, sono stati mangiati tutti. In un laboratorio, incontra ratti bianchi gonfi di grossi tumori neri: nonostante il cibo abbondante nelle loro gabbie dimagriscono, perdono il pelo e muoiono. Vecchio e allo stremo delle forze, accecato dagli uomini con un ferro rovente, trova la morte sgozzato da un giovane ratto, nuovo padrone del nido da cui era stato cacciato e a cui era ritornato sentendo la fine vicina.

Zaniewski prende le mosse dalla tradizione mitteleuropea che ha generato il gatto Murr di E.T.A. Hoffmann, il cane Sharik di Bulgakov, e i vari animali della fattoria di Orwell. Se ne distacca, però, in due modi. In primo luogo, non rifugge dai minuti dettagli materiali del mondo del ratto: al di sotto della letterarietà della scrittura, che avvicina e allontana il punto di vista alternando prima e seconda (e occasionalmente terza) persona, è evidente il compiacimento dell’autore nel descrivere con dovizia di particolari il pericolo, la paura, il terrore quotidiano nella vita del protagonista. In secondo luogo, non è la satira sociale che interessa a Zaniewski. Non c’è parodia, né riso amaro. Non è la storia di un uomo in guisa di ratto: è la storia di un ratto.

O no? Alla fine del romanzo, uno scritto dell’autore, che l’editore italiano ha saggiamente voluto come postfazione (ma era una prefazione nelle edizioni tedesca e americana), ci informa di qualcosa che, forse, non vogliamo sentirci dire:

Memorie di un ratto non è solamente un libro sugli animali, anche se un simile modo di interpretarlo potrebbe essere plausibile. Al contrario, si tratta di un racconto sulle leggi che governano la società, sulle nostre mitologie, sulle verità e sulle menzogne, sull’amore e sulla speranza, sulla solitudine e sulla nostalgia. […] Pertanto ti prego, egregio lettore, di non dimenticare che, descrivendo in modo particolareggiato e naturalistico la vita del ratto, pensavo a te.

(Paola Bonomo)

Kissed

(Canada, 1997)

Regia: Lynne Stopkewich

con: Molly Parker, Peter Outerbridge, Jay Brazeau

Distribuzione cinematografica: Lucky red

Necrofilia. Di questo difficile tema si parla in Kissed, un film che, nel 1997, fece scandalo al Festival di Cannes.

Il protagonista non è il solito maniaco sessuale, infatti l’angolazione scelta dalla regista per trattare l’argomento è diversa e spiazzante. Sandra Larson (Molly Parker) è una ragazza dal viso acqua e sapone che subisce fin dalla più tenera età il fascino della morte e desidera comprenderla nei suoi aspetti più reconditi. Da bambina seppellisce con grande rispetto i piccoli animali morti che trova nei boschi, sperimentando una primitiva forma d’estasi che la porterà a spingersi sempre più lontano. Da adulta lavora proprio in un’agenzia di pompe funebri e studia la tecnica dell’imbalsamazione, donando il suo amore a giovani defunti, attratta da quell’energia così speciale che quei corpi sprigionano e che solo lei è in grado di percepire. Le cose si complicano quando incontra Matt (Peter Outerbridge), uno studente di medicina, e prova ad avere una relazione normale con lui. Un rapporto che deluderà Sandra e avrà conseguenze nefaste sulla psiche di Matt.

Kissed parla di un diverso tipo d’amore, non di una perversione aberrante, e proprio in questo risiede il suo fascino. Film di classe, per nulla osceno, ma delicatamente morboso. Da riscoprire.

(Laura Cherri)

The entity

(Usa, 1981)

Regia: Sidney Furie

con: Barbara Hershey, Ron Silver, David Lubiosa

Distribuzione: Fox

Carla è una madre di tre figli che ha alle spalle alcune esperienze traumatiche per le quali è in cura da uno psicanalista (Ron Silver). L’incubo comincia quando diviene vittima di ripetute aggressioni sessuali da parte di un’invisibile entità tra le pareti domestiche. Lo psicanalista sostiene che sia Carla ad autoinfliggersi tali sevizie e un’ingiusta accusa di schizofrenia ricade sulla povera donna. Gli stupri continuano finché Carla non si imbatte in una squadra di parapsicologi che cercheranno di aiutarla a liberarsi del violento poltergeist.

Quello che rende questo film tanto inquietante è il fatto che non possiamo mai vedere l’aggressore. Basato - si dice - su una storia vera, il film ha impressionanti scene di stupro che suscitano angoscia e senso d’impotenza nello spettatore. La violenza è terribilmente realistica, e la colonna sonora che esplode durante queste sequenze ci rende partecipi a livello viscerale della furia del fantasma e del terrore di Carla. Gli effetti speciali sono più che ottimi per quegli anni: il modo in cui è stata riprodotta la pressione delle dita invisibili sulla pelle di Carla fa venire i brividi. Un plauso a Barbara Hershey, bravissima nel suo tormentato ruolo di martire.

Se avete abbastanza coraggio da reggere due ore di paura e mistero, allora The Entity fa per voi.

(Laura Cherri)