Al seguito de La stazione del Dio del Suono (Larcher 2004) arriva il terzo episodio legato alle attività luciferine del Circolo del Venerdì: Le tre bocche del Drago. I vecchi diabolici inventati dalla fantasia di Danilo Arona fanno la loro nuova comparsa in quella che (come recita la quarta di copertina) sarà “forse la loro ultima veglia”. Il luogo: Triora, paese diventato famoso per i processi alle streghe che vi si svolsero fra il 1587 e il 1589. L’argomento: le streghe, ovviamente.

Nel miglior spirito aroniano ritroviamo tutti gli elementi che concorrono a fare di questo ciclo di romanzi un caso davvero originale e avvincente. Stavolta però l’editore Larcher si lancia in un esperimento davvero audace e (per quanto ne sappiamo) senza eguali in Italia, perché Le tre bocche del Drago non è un romanzo come tutti gli altri; bensì un “ibrido”, scaturito dalla mente di otto scrittori che hanno lavorato l’uno indipendentemente dall’altro. Un esperimento letterario coraggioso e che poteva (date le premesse) rivelarsi un fiasco totale. Fortunatamente non è successo. Anzi, gli otto frammenti (racconti) scritti l’uno indipendentemente dall’altro e poi sapientemente incastonati da Arona nella cornice della veglia filano liscio (certo, con vari risultati artistici, a secondo dello stile e della capacità degli scrittori chiamati al cimento) dall’inizio fino alla fine (con epilogo a sorpresa).

Ottimi i contributi di Alan D. Altieri (che vediamo qui confrontarsi con un genere per lui del tutto nuovo, l’horror soprannaturale) e quello di Gianfranco Nerozzi che, pur restando legato ai moduli dello splatter, rappresenta un piccolo neo che dà risalto alla bellezza del contesto (e si riscatta ampiamente grazie al tono comico dalle sue scorie organiche). Ottimo l’intervento di Arona sia in qualità di “montatore” delle scene, sia in qualità di autore del racconto sulla strega Micillina. Assai buono il racconto a sorpresa di Edoadro Rosati. (Gli altri autori, ricordiamolo, sono: Giacomo Cacciatore, Riccardo Fassone, Remo Guerrini e Gian Maria Panizza.)

A nostro avviso nessuno dei racconti reggerebbe da solo. O meglio non rappresenterebbero un evento. Al limite sarebbero dei racconti decorosi. Ma messi a formare un tutt’uno all’interno di quello che Fabio Larcher definisce un “esperimento di magia estetica”... be’, le cose cambiano profondamente e si ottiene se non un prodotto perfetto, sicuramente un prodotto assai godibile. Il che non è poco, se consideriamo che siamo in Italia, dove tutte le correnti artistiche giungono per ultime e con ritardo vergognoso. Una volta tanto possiamo dire che questo piccolo editore ha compiuto qualcosa di originale (naturalmente grazie ai suoi affiatati autori).

Speriamo che duri.