Molti di noi hanno conservato l’abitudine di irridere i nipponici, di trovarli assolutamente marziani rispetto alle cose realmente importanti. Naturalmente è un’ottica di parte e che sta lentamente e inesorabilmente sfumando con l’incedere dell’Oriente economicamente pericoloso (il Pericolo Giallo).

A ogni modo non sarebbe male battersi il petto ogni tanto e ammettere che il ridicolizzato nemico ci ha pienamente battuti. Eh, sì! Il signor Koji Suzuki ha sfornato un terzo romanzo (secondo della saga The Ring) di fronte al quale non ci si può che nipponicamente inchinare.

Prima di tutto è un libro che si legge tutto d’un fiato – ma questo vale per quasi tutti i libri concepiti a tavolino da un intelligente best-sellerista – senza mai stancare, senza mai annoiare, senza lasciare il tempo per rimuginare, martellando il lettore con improvvisi colpi di scena e inediti cambi di prospettiva. Poi è un libro assai originale, che riesce a spaventare senza neppure una scena disgustosa. Un gotico d’atmosfera assolutamente riuscito, che si regge su una lingua asciutta, precisa e senza alcun fronzolo barocco. E del quale non possiamo raccontare nulla, perché vale la pena di scoprire i segreti di questo romanzo con una buona lettura.

L’unica cosa che ci permettiamo di fare è dirvi che tornerà la videocassetta maledetta a turbare le vite dei protagonisti, ma lo farà in maniera veramente imprevedibile, giacché i protagonisti sono degli scienziati. Il che dà agio a Suzuki di sciorinare tutta la sua capacità speculativa, di mescolare miracolosamente nozioni scientifiche e teorie paranormali che odorano di folclore giapponese. Spiral, come un trattato di scienza sulle forze occulte, apre i vasi di Pandora, svela il diabolico “piano” della volontà malefica che ha prima generato il VHS infernale e che poi prenderà la forma...

Be’, correte a comprare il libro, se volete saperlo.

La struttura narrativa di Suzuki cede solo raramente, tradendo una matrice culturale troppo “giapponese” (e perciò ancora lontana dai nostri gusti o moduli di pensiero), o lasciandosi scappare piccole ripetizioni francamente inutili. Ma si tratta di piccoli nei sull’epidermide peraltro immacolata della narrazione. Semmai si potrebbe imputare allo scrittore una certa incapacità di aggredire i temi in profondità, lasciando dei veri “segni” sulla coscienza del lettore.

Ma certo questa è solo un’opinione e poi: è tanto importante? Il senso del terrore e le invenzioni reggono benissimo anche senza il pathos esagerato che forse ci aspetteremmo da Suzuki.