(Sinossi tratta Cinematografo.it) Prequel e quarto episodio della serie basata sulle vicende tratte dal romanzo di William Peter Blatty. In questo film Padre Merrin, perseguitato dai ricordi delle sofferenze subite in Olanda dai suoi parrocchiani durante la Seconda Guerra Mondiale, abbandona il suo paese. Al Cairo, dove si trova di passaggio, gli viene offerto di partecipare a una spedizione archeologica in Kenya, nel Turkana. Merrin, un archeologo che ha studiato a Oxford, deve ritrovare un'antica reliquia nascosta all'interno di una chiesa cristiana bizantina che è stata riportata alla luce. Ma sotto la chiesa c'è qualcosa di molto più antico in attesa di tornare alla luce. Il Vaticano manda Padre Francis, un giovane missionario idealista, a controllare che gli scavi rispettino i precetti religiosi e toccherà a lui cercare di riavvicinare alla fede Padre Merrin che nel frattempo se ne è allontanato. Ad aiutare entrambi c'è la dottoressa Sarah Novack che è arrivata fin li perché vuole compensare le ingiustizie del mondo. Padre Merrin si scontrerà con le forze del male nel luogo dove ha avuto origine, rappresentate dal demone Pazuzu che ha preso possesso di un ragazzo, e vedrà ancora una volta scorrere a fiumi sangue innocente.

Vi avevamo già dato mesi fa un resoconto delle vicissitudini produttive di questo L'Esorcista: La Genesi e non insisteremo su questo tasto, ricordandovi solamente che la futura edizione in dvd promette (perlomeno negli Sati Uniti) di offrire allo spettatore anche la versione filmica di Paul Schrader e si potranno quindi giudicare le differenze fra qualche tempo.

Non possiamo certo mimare una sorpresa in negativo di fronte a quanto visto in sala perché Renny Harlin non ha fatto altro che mantenere le promesse: un regista che vanta nel suo curriculum capolavori (ehmmm, si chiama sarcasmo...) quali Driven, Cliffhanger o Corsari è la persona meno indicata per mettere in scena le inquietudini del giovane Merrin.

Ne consegue un prodotto confuso a partire da una sceneggiatura incapace di identificare i punti nodali della narrazione, uno script che scivola in caratterizzazioni psicologiche grossolane (Merrin pronto a trasformarsi da ubriacone a Indiana Jones in tre secondi netti scrollandosi ingombranti fantasmi del passato con due incubi e un'alzata di spalle, altri due minuti e nuova scrollata di spalle e diventa il guerriero della fede) o in grossolane macchiette da b movie (la dottoressa bona che si fa al doccia con tanto di tettina in esposizione, il comandante dell'esercito folle, il prete vecchio e saggio che avvisa sulla venuta del male) per non parlare del calderone di mitologie e religioni che si miscelano senza un apparente nesso filologico.

E' quasi inevitabile che a tale sciatteria in fase di script ne consegua una messa in scena altrettanto stereotipata e piatta: Harlin vaga nell'immaginario collettivo in cerca di simboli del Male e mischia in un allegro calderone tutto quello che riesce a trovare: iene, croci capovolte, angeli caduti, corvi, feti nati morti e divorati dai vermi, lingue biforcute e volti biancastri con il risultato che il Male, spaventato da tanto colore locale, scappa via da questo circo.

Le trovate visive sono alle volte irritanti (la scena iniziale, le iene figlie di una CGI impacciata, il suicidio del prete in manicomio) quando non apertamente ridicole o goffe (lo scontro finale varia continuamente fra questi due registi e Merrin a tratti ricorda il miglior Ash ne L'armata delle tenebre: si bagna la fronte con dell'acqua santa e poi tira testate contro la posseduta o, ancora, l'indemoniata gli si scaglia contro e lui erige un mistico, invisibile scudo della fede contro il quale la sfortunata si spiaccica).

E' un film figlio di una certa ottica imperante a Hollywood da qualche tempo, una filosofia che mira a ridurre qualsiasi scontro (personale, di civiltà , di religione o sesso) al puro livello videogame eliminando qualsiasi possibile sovrastruttura perchè il cinema deve unicamente (e non, come sarebbe più corretto, "principalmente") intrattenere, le riflessioni sono per i topi da biblioteca e i perdenti.

E' probabilmente possibile salvare qualche squarcio di fotografia, d'altronde un Vittorio Storaro pur svogliato rimane sempre superiore a gran parte degli altri suoi colleghi e il gioco di alternanza fra alcuni interni cupi e freddi e gli esterni africani caldi e virati sul giallo/arancione/marrone e piacevole visione per l'occhio in cerca di sollievo.

Quel che più stupisce, avendo la produzione preso Harlin proprio per le sue capacità come regista di film d'azione, è la legnosità delle scene corali e del confronto a due finale che sembra girato da un esordiente in possesso di fondi sufficienti per baloccarsi con qualche effetto speciale.

Non ci interessa, in definitiva, l'improponibile confronto non solo con l'originale di Friedkin ma anche con gli altri due episodi; quel che ci lascia profondamente delusi è l'assoluta mancanza di atmosfera, di tensione, di attenzione nei confronti delle dinamiche fra Bene e Male, la deliberata trascuratezza dei drammi interiori di padre Merrin ridotto a un Tomb Raider qualunque, armato di croce e bibbia.

Tralasciamo di elencarvi tutte le incongruenze perché si tratta un massacro al quale non intendiamo partecipare ma è impagabile il momento nel quale, nella spelonca che ospita il confronto finale, Merrin si gira verso un bambino africano (nel 1946) di sei-sette anni al massimo, gli pianta in mano una copia (in inglese invece che latino) dei rituali romani di esorcismo, gli intima di leggere le sue parti quando sarà il momento e il bambinetto, fiero e molto bronx/southside, alza il mento e legge bello spedito dimostrando ottima conoscenza dell'ingles. That's Hollywood!