Un feroce serial killer prepara compulsivamente una scia di morti nel macabro tentativo di liberarsi dalle sue ossessioni usando mezzi e metodologie da impagliatore. L'ispettore Amaldi per fargli interrompere la sua serie di omicidi deve lottare contro il tempo. E ripercorrendo il passato trova la soluzione, sepolta in un vecchio orfanotrofio sulla scogliera.

Prima di visionare Occhi di cristallo in redazione c'era una generale atmosfera di euforia riassumibile in: "anche se il film non sarà stupendo ne parleremo comunque bene perchè un'occasione di rilancio di certo cinema italiano".

Poi siamo entrati in sala.

E abbiamo cominciato a sorridere. A ridere. Finite le risate esorcizzanti siamo rimasti preda dello sconforto. Vedete, gli unici momenti nei quali siamo contenti di non essere pagati per quanto scriviamo è quando riflettiamo sull'enorme libertà che questo fatto ci concede. Uno dei meccanismi più tipici nelle redazioni professionali è questo: la casa editrice (musica, libri, film, non importa) si coccola il giornalista con inviti, bonus, materiale, regali e compra direttamente pagine di pubblicità sulla rivista. Secondo voi cosa pretende poi in cambio?

Uh, esatto! Recensioni positive. Al limite ci si accorda ogni tanto su un capro espiatorio e via.

L'opera di Eros Puglielli doveva insospettirci già dalle sue radici letterarie, un mediocre volume di Luca Di Fulvio, L'impagliatore, edito da Einaudi nella collana Stile Libero, la collana giovane per lettori poco smaliziati. Stile Libero è un contenitore pop di basso livello che è nato (idea terribile se pensate all'Einaudi di un tempo) con il proposito di seguire le mode del momento e creare una serie di libretti up to date per liceali che si sentono un po' cannibali e un po' poeti anticonformisti.

Su tale testo di partenza i tre sceneggiatori (lo stesso Puglielli, Franco Ferrini e Gabriella Blasi) hanno operato uno scempio letteralmente implausibile e ingiustificabile. Leggetevi su qualche quotidiano (anche alcuni siti web andranno bene) le recensioni riguardanti questo film (quasi tutte positive) e noterete un trait d'union generale: la sceneggiatura è spesso insoddisfacente ma possiamo passarci sopra.

Ora, chi ci segue dalla prima ora sa benissimo che noi siamo i primi dispostissimi a perdonare buchi logici o sbavature, ci mancherebbe, anzi!

Nel caso di Occhi di cristallo non si tratta di imperfezioni. Il soggetto in sè è scontato, ogni caratterizzazione psicologica accantonata in favore di personaggi titanicamente monodimensionali che entrano in scena con dei cartelli appiccicati in fronte: salve, sono l'investigatore dal passato torbido, ciao, sono la spalla semicomica, buongiorno sono l'assassino di cui non scoprirete l'identità fino alla fine e così via. Si casca continuamente in stereotipi che ormai non vediamo più nemmeno nei telefilm polacchi (la sala della polizia in pieno giorno straripante di prostitute con calze a rete e cattivi punk che vengono trascinati in manette, il telefonino che "non ha campo, damn!" proprio nel momento giusto, una scena d'amore mal girata e mal recitata che potreste sovrapporre a centinaia di altre senza distinguerla, il mini-depistaggio la cui scena inizia con un rullo di tamburi del tipo "attenzione! Sono un depistaggio per dare brio fra due momenti morti!". Non parliamo poi dei "misteriosi fatti accaduti nel passato in un orfanotrofio" o della casa in rovina sulla scogliera perchè ci sembrerebbe di sparare contro la Croce Rossa. E' desolante ma sicuramente qualcuno con maggiore capacità dialettica della nostra riuscirà a giustificare tutto questo.

I dialoghi sono sempre imbarazzanti ora per pochezza ora per comicità , in particolare la coppia di investigatori rinverdisce i fasti di Gianni e Pinotto con perle del tipo: dopo aver capito quasi subito la natura di impagliatore dell'assassino solo verso fine film Lo Cascio se ne esce con un "Dobbiamo cercare chi vende gli occhi di vetro!" e il suo compare sgrana gli occhioni e "Cazzo! Come abbiamo fatto a non pensarci prima!"; oppure, sempre l'ineffabile duo, di fronte a una scritta in latino fatta con il sangue, sul muro "E' latino!" e dopo insopportabili eoni "E' sangue!".

Il doppiaggio non giova, così come non aiuta una scelta del cast assurda, con attori fra il vacuo e il disinteressato (Lo Cascio ai minimi storici della sua carriera).

La regia di Puglielli viaggia sui territori della bipolarità , anzi, della quadripolarità , miscelando forti suggestioni argentiane (in particolare negli interni) a una tecnica derivativa del thriller americano anni novanta (e quindi da certa estetica figlia del videoclip e dei commercial) specie durante le scene d'azione/indagine o in momenti quali la pioggia prima del finale. Gli altri due poli di riferimento sono la fiction italiana contemporanea (che predomina in tutte le scene di raccordo) e il Puglielli più autentico, quello attento al dato naturale, alla città, alla scelta delle location. In questo il giovane regista è davvero bravo, ha un occhio capace di scavare fra i palazzi, vede le navi arenate come carcasse di animali morti, gira fra campi di periferia e sottoscala generando i pochi momenti di interesse all'interno dell'opera.

Abbiamo parlato prima di Dario Argento, è chiaro che il film paghi un tributo forse esagerato al maestro italiano purtroppo si può cercare di richiamarne le atmosfere ma senza un valido contributo da parte dello scenografo e del direttore di fotografia tutte le citazioni risulteranno incompiute e prive di vita.

Molti, infine, hanno strombazzato il forte tasso di splatter e di macabro presente nella vicenda. I vari momenti shocker possono forse impressionare chi vede un film thriller all'anno, non certo il fan abituato a determinate visioni e a Puglielli manca la cattiveria, la perversione del Dario nazionale e quindi i suoi arti monchi, il suo sangue e vermi e bambole impattano sulla scena più come freddo dato estetico che come possibile sguardo caldo sul Male.

Niente soprannaturale nemmeno a cercarlo con il lanternino e colonna ed effetti sonori composti probabilmente da DJ Francesco ubriaco sotto falso nome.

Si tratta di un prodotto che arriva con un ritardo di 15-20 anni e che cercheranno di farci apprezzare come possibile rinascita del thriller made in italy. Non fraintendeci, non c'è bile, non c'è invidia verso il successo di Puglielli, siamo i primi a tifare COMUNQUE per lui e siamo convinti che con il tempo, quando avrà più potere decisionale in sede di trattazione, di pre-produzione (e quando avrà il coraggio di farsi scrivere la sceneggiatura da qualcuno serio e capace) potrà girare qualche film di forte impatto, saremo i primi a testimoniarlo. E' solo che ci piacerebbe un'Italia cinematografica degna dei fasti del passato e i deliri di una coppia di svitati contro un serial killer altrettanto incapace non ci sembrano migliori dei vaneggiamenti mucciniani sui trentenni in crisi.