- Abbiamo tolto l’amuleto, no? Siamo fottuti! - ha sbraitato, gli occhi sgranati. - Vipere ed erbe, per tenere lontani gli spiriti della montagna. Era il Gigiàt, capisci? Mi ha parlato. Mi ha detto di tornare qui. Mi ha detto che se gli avessi offerto un sacrificio mi avrebbe risparmiato. Mi dispiace, Gigi. Mi dispiace.

Poi ha tirato fuori il coltellino tascabile. Quello che è successo dopo lo sapete. Ho ucciso uno dei miei migliori amici.

Matteo è là fuori, ma so che non è più Matteo. Prima, quando è tornato, quando potevo ancora sentirlo, mi ha parlato con la voce di Marta, mia moglie. Poi è diventato Marta.

Devastata dalla cirrosi, la pelle gialla, gli occhi vacui contornati da occhiaie violacee. Ha poggiato il naso al vetro del bivacco e ha sussurrato: - Fammi entrare, Gigi. Ti prego. Fa tanto freddo qui fuori. Guarda, il nostro bambino. Il bambino che non abbiamo mai avuto. - Ha sollevato le braccia rachitiche mostrandomi qualcosa che sembrava un cucciolo di cerbiatto scuoiato, poi è scoppiata a piangere. Sì, stavo quasi per aprire la porta, per farla entrare…

Quella voce… Era la voce di Marta. Ma era anche e soprattutto la voce della Montagna. E le montagne sanno ogni cosa.

L’ho dovuto fare. Mi sono piantato la penna con cui sto scrivendo nelle orecchie, giù, giù, fino a perforare i timpani. Dolore intollerabile. Sono svenuto.

Poi mi sono svegliato e mi sono messo a scrivere queste poche righe sul diario del bivacco.

Matteo mi parla, mi parla con la voce della Montagna, ma io non posso sentirla, e non potrò sentirla mai più.

Ho paura.

Sono sordo.

Il silenzio. Benevolo e tremendo.

Attenderò l’alba. Poi cercherò di raggiungere la diga e da

Cristo, Daniele si muove, è ancora vivo

Che qualcuno ci aiuti

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