Il termine "abduction” nasce con le osservazioni di UFO. Ai primi avvistamenti di dischi volanti, hanno fatto seguito i racconti di persone che affermavano di essersi trovate in contatto diretto con gli alieni. Al cinema, uno dei primi rapimenti alieni si è visto in quel capolavoro che è Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo di Steven Spielberg. Nella scena finale, Richard Dreyfuss, insieme con altri volontari, sale su un’astronave, per un viaggio probabilmente senza ritorno. Spielberg ci raccontava però quasi una favola: al di là delle prime impressioni, gli extraterrestri sono fondamentalmente buoni, dotati di un’intelligenza superiore alla nostra, e hanno invitato gli esseri umani a venire con loro. E’ emblematico come, dopo oltre trent’anni dal film, i cieli si siano fatti più scuri e gli extraterrestri si siano trasformati da esseri candidi ai “grigi” di Dark Skies. Qui, protagonista è una famiglia americana media, quella di Daniel e Lacy Barrett, una famiglia come tante, che si trova alle prese con la crisi economica: il capofamiglia ha perso il lavoro, la moglie, ha solo un’occupazione part-time, fanno fatica a mantenere il loro tenore di vita e le loro preoccupazioni sono inevitabilmente percepite dai due figli. In questo contesto incominciano ad accadere strani eventi; gli incubi del figlio minore diventano ben presto realtà...

La trama potrebbe ricordare quella di Bagliori nel Buio di Robert Lieberman o del più recente docu-fiction Il Quarto Tipo, con Milla Jovovich. Sarebbe però peccare di ingenuità, non pensare che l’autore non sia stato influenzato da serie televisive come X-Files e Taken.

Sembra proprio che Scott Stewart abbia attinto a piene mani dall’immaginario di questi telefilm, per raccontare la sua storia. Come spiega uno dei personaggi, l’incontro con gli alieni segue certe regole, un protocollo che lo sceneggiatore pare aver costruito sulle parole di Fox Mulder, e da queste regole è difficile sfuggire, come la famiglia Barret scoprirà a caro prezzo.

Il peggior difetto del film è che procede seguendo troppo il manuale; il regista, e sceneggiatore, sembra aver ritenuto come “assodata” una certa mitologia che si è creata intorno ai presunti incontri con gli alieni: le morie di uccelli, i disegni di forme geometriche.. ala resa dei conti non stupiscono troppo, viceversa fanno scivolare la storia in cliché narrativi già noti al pubblico.

Dark Skies ha semmai come pregio l'introspezione psicologica: non punta sugli effetti speciali, anche se non mancano le scene d’effetto. Da antologia è per esempio la scena in cui un “grigio” segue a breve distanza la protagonista, Keri Russel (che si ricorda soprattutto nel ruolo di Felicity Porter nella serie televisiva Felicity, e che si dimostra sempre molto brava e bella).

Nel complesso discreto, Dark Skies ricorda alcun horror movie a cavallo fra i ‘70, e gli ‘80, in cui la sfera psicologica dominava sull’azione; oggi giorno i “grigi” hanno preso il posto dei fantasmi o dei demoni o dell’uomo nero.

Il risultato finale è che, dopo aver visto Dark Skies, non vi sarà difficile intravedere nell’ombra qualche “grigio” che vi sta osservando furtivamente...