Heidi (Sheri Moon) è una DJ radiofonica che conduce assieme a due colleghi e amici un programma di grande successo nella piccola cittadina di Salem (nota per i roghi di streghe nel 1600). La donna un giorno riceve una misteriosa scatola di legno che contiene un disco in vinile di un gruppo sconosciuto chiamato “I signori di Salem”. La messa in onda di quella litania disturbante riscuoterà un enorme successo tra gli ascoltatori e darà il via a una maledizione assopita da centinaia di anni. Da lì inizierà un lento ed estenuante viaggio mentale nella psiche di Heidi fatto di paranoie e allucinazioni, ammantato di strane ambientazioni e luci al neon. 

C’era molta attesa per il ritorno dietro la cinepresa di Rob Zombie e, dopo tre anni dall'ultimo lavoro, l’ex leader del gruppo metal White Zombie, non ha tradito le aspettative di pubblico e critica con il suo nuovo film Le streghe di Salem.

Attingendo dalla tradizione americana, quella delle streghe processate a Salem, il regista si allontana dall’horror dei due precedenti Halloween, caratterizzati da effetti gore e grande atmosfera fracassona, cercando di spaventare il pubblico in un modo diverso e, come ha affermato lui stesso, senza la ricerca di facili trucchi visivi o rumori forti ma coinvolgendolo lentamente, lasciando il tempo allo spettatore di entrare nel vivo della narrazione.

La pellicola, seppur ricalchi una lunghissima serie di cliché nell'ambito dell’horror, dimostra la sua devozione verso i mostri sacri e le pellicole da cui si ispira: si va da nomi del calibro di Stanley Kubrick o David Lynch passando per Roman Polansky (dal quale ha attinto l’idea di fondo del suo Rosemary's Baby) fino ad arrivare ai film horror anni 70/80 del nostrano Dario Argento e rivisitandole facendole proprie in questa produzione low-badget, le cui riprese non hanno superato i 20 giorni.

Anche per questo motivo, la pellicola è disseminata di citazioni che strizzano l’occhio al pubblico più snob e incuriosisce quello più scettico, ma sempre con un fondo di autoironia e non prendendosi mai troppo sul serio.

Impossibile non citare la colonna sonora che in questo, come in altri film del regista, gioca un ruolo fondamentale. Le tracce musicali del film accompagnano (all'inizio con pezzi dei Velvet Underground) il lento e sincopato evolvere del lungometraggio, fino al delirio ipnotico e visionario con un susseguirsi di ossessioni e fantasie psichedeliche, in cui trova posto il Requiem di Mozart.

Un’opera che conferma le capacità visive del regista statunitense, che pur servendosi di temi già ampiamente utilizzati riesce a portare avanti una trama interessante e in continua evoluzione fino alla fine, puntando su effetti visivi in stile videoclip, una fotografia molto ricercata e musiche alienanti che ben si fondono nel tessuto narrativo. Consigliato gli amanti dell’horror anni Settanta e Ottanta, dove la suspense e tempi di attesa avevano la meglio sull’azione e gli effetti splatter.