E’ uscito lo scorso 12 dicembre per Revalve Records Double Black, quinto album della doom metal band toscana dei Motus Tenebrae.

Il disco, distribuito in Europa e in USA tramite The Omega Order, si compone di 13 tracce, che si presentano come “un’alchemica mistura di gothic, rock e doom metal dove passione, malinconia e rabbia si intrecciano in travolgenti riff” (Revalve).

L’album ha richiesto quasi due anni per arrivare alla sua produzione e vede una line up rinnovata: a fianco del membro fondatore Andreas Das Cox al basso e Daniel Cyranna alla chitarra, rientra in formazione dopo una breve pausa anche il drummer Antonio Inserillo (Death SS, Tossic), mentre il nuovo cantante Valerio Voliani (proveniente dalle prog metal band Absolute Priority e Icycore), apporta una vena melodica in più spostando il doom originario della band verso territori più propriamente gotici, senza tralasciare la corrente principale (si tratta di un album che potrà piacere non solo agli amanti del doom e del gothic, ma anche ai fan dei Depeche Mode, per fare un esempio).

Words è un breve prologo dominato da voce e piano. Il retrogusto progressivo fa da sfondo alla cupezza che aleggia tutt’intorno e che ci porta in pochi istanti alla traccia successiva. Un’introduzione strumentale si trascina lugubre e funerea da sonorità puramente doom e falciate di chitarra distorta fino a una strofa sorprendentemente placida e melodica, quasi soft, per acquistare all’improvviso agghiaccianti venature industriali. L’alternanza di ambienti e colori di Pulled out of You procede per quasi sei minuti in quello che si configura probabilmente come uno dei brani di minor facile ascolto del lavoro, vuoi per la varietà di soluzioni ritmiche e sonore sperimentate, vuoi per la struttura ben lontana dagli standard di strofa/ritornello, vuoi per le numerose sezioni che introducono frasi melodiche (sia vocali che strumentali) che differiscono da quelle portanti. Passaggi successivi riescono a svelare sfumature nascoste a un primo ascolto, configurando il brano come quello più ‘progressivo’ dell’album.

Con Lady ci spostiamo in zone completamente diverse, sia per valori ritmici (assai sostenuti per la quasi totalità della traccia, fatta eccezione per un breve inserto nella seconda metà) sia per sonorità (sporche e raschiate, di matrice rock and roll con sfumature street e thrash, soprattutto nell’utilizzo degli strumenti a corda e in particolare nella costruzione dell’accattivante riff e dei passaggi chitarristici). In Through the rain torna invece preponderante il piano a cui si affiancano a poco a poco gli altri strumenti, sommessi, rilassati (salvo lo spazio riservato all’assolo, ritmicamente più sostenuto), lasciando ampio spazio alle evocative melodie.

Last day of December è sicuramente il brano d’impatto più immediato dell’intero lavoro e non a caso è stato scelto come primo singolo estratto e videoclip (diretto da Andrea Falaschi). Dotato di ritornello talmente orecchiabile da insidiarsi nella testa dell’ascoltatore sin dal primo passaggio, resta tutto sommato in equilibro fra durezza e malinconia, violenza e divertito sarcasmo, anche grazie ai diversi campi sonori e ritmici scelti per strofa (cupa, dominata dal basso, e relativamente pacata), bridge (nervoso, instabile e incalzante) e ritornello (una di quelle cose che potrete ritrovarvi a canticchiare anche sotto la doccia). Il tutto inquadrato dalla solidità della ritmica. Il basso di Das Cox sempre in evidenza, batteria divertente e divertita: gli interventi di Inserillo sempre precisi e al contempo fantasiosi, testimoniano le capacità e l’esperienza del musicista tramite il dosaggio della tecnica effettuato sempre con buon gusto, senza mai strafare, ma piazzando colpi, rallentamenti e dimezzamenti, ‘rumori’, sempre nel posto giusto al momento giusto.

Cupa e ossessiva, Double black ci riporta allo spirito più puro del doom con arpeggi e riff lenti e striscianti innescati su una struttura cruda ed essenziale che pian piano si colora con sampler e innesti elettronici, talvolta dissonanti. Strumentale per la gran parte della sua durata (che complessivamente raggiunge quasi i sei minuti), contiene un interludio sperimentale a base di lugubri cori dall’andamento liturgico (ripresi poi nel finale).

Forse chi ha letto il mio racconto The Undead, pubblicato su Horror Magazine nel luglio scorso, ricorderà il brano omonimo che la band protagonista (gli stessi Motus Tenebre) componeva in circostanze orrorifiche e surreali. Si tratta di un pezzo complicato e di facile presa al tempo stesso, che mischia la lentezza funebre del doom alle suggestive e tenebrose melodie del gothic. “L’arpeggio distorto, grave e ipnotico sfocia con un tonfo di batteria nella struttura ampia, dura e melodica al tempo stesso. Lenta e ossessiva, la ritmica, acuta e lamentosa, la melodia.” (citaz. The Undead). Sul cantato, la voce “si schiude ovattata, quasi a sussurrare una confessione occulta, mentre l’indolente e vertiginoso arpeggio continua a volteggiare sullo sfondo. E il canto si alza e si spezza, dopo una pigra rullata.” Il ritornello è il passaggio più catchy della traccia, ma alla fine della seconda strofa si lascia desiderare (“tutto si sta snodando in un percorso strumentale che sa di morte e di rimpianto”), per poi non riaffacciarsi. Finché “foschi mormorii sintetici e tetri rintocchi di grancassa e rullante” non sfociano sull’assolo di chitarra, “un climax languido e struggente. Un tutt’uno con la struttura sottostante” in cui Cyranna riesce a far cantare la sei corde. Una pausa, e “la musica risale pian piano dal vuoto, l’arpeggio zampilla lieve, il basso gocciola cupo sul fondo, e la voce fantasma intona un’ultima preghiera.” Infine si torna sul ritornello, variato, e la struttura si chiude “a riccio su un finale che rimane lì, un po’ sospeso un po’ ineluttabile, senza suggerire niente di scontato.”

Lying to me è un mid-tempo che ancora mischia piacevolmente oscurità e melodia, mentre una lenta e pesante marcia pianistica introduce I walk beside you (preview), brano ampiamente orchestrato e dominato dalle tastiere che si mantiene su un andamento largo per tutta la sua durata. Il cantato si muove nella strofa su territori gravi e tenebrosi, bui, dove talvolta dialoga con il basso, per aprirsi nel ritornello in frasi lunghe e melodiche, seppur energiche, ben drammatizzate da Voliani.

Inquietante e felpata come gocce di sangue che cadono sulla moquette, claustrofobica nelle strofe e velenosa e mefistofelica nel ritornello, Poisoned blood ben si appaia alla più sostenuta, dark & goth, orecchiabile Silence is killing me (che parte paradossalmente in maniera ‘rumorosa’ grazie all’utilizzo di sampler, più interludi tenebrosi), rendendo la tracklist movimentata e variegata.

Il lutto si ammorbidisce con Beauty of damned, dove la flemmatica marcia doom si trasforma in un arioso e trionfale valzer. Chiude il cerchio She wants herself, traccia che racchiude un po’ tutte le soluzioni ritmiche e sonore presentate nel corso dell’album: dai valori sostenuti a quelli più rilassati, dalle melodie aperte e cantabili ai cori luttuosi, dai riff sporchi e morbosi alla sperimentazione elettronica, pur presentandosi come brano omogeneo e strutturato con equilibrio.

Un ottimo ascolto per gli appassionati di quel tipo di metal che non disdegna di strizzare l’occhio al mainstream, per poi fargli la linguaccia appena gli volta le spalle.

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