Gli Absolute Priority si sono formati a Livorno nel 2005 da un’idea del cantante Valerio Voliani (Icycore) e del chitarrista Federico Morella (Celephias). Quello che è partito come uno studio project di progressive metal si è trasformato nel corso degli anni in una live band composta da un altro membro degli Icycore (Francesco Caprina, chitarra) e un altro dei Celephias (Massimo Grasso, tastiere), più Simone Colombo alla batteria e Andrea Bardi al basso.

Il concept album Hunter (l’idea è di Voliani, le liriche sono in collaborazione con Luca Campani) è stato composto da Voliani e Morella, e arrangiato e registrato dall’intera band ai Big Wave studio di Livorno da Niko Santaniello; uscito venerdì 9 novembre per Revalve Records, è stato suonato per intero alla partecipata presentazione ufficiale avvenuta la sera stessa al The Cage Theatre di Livorno.

La storia ruota attorno ad Alan, un serial killer che, pochi istanti prima della condanna a morte, narra le sue malefatte a un sacerdote (The Confessor, traccia 1) attraverso una serie di flashback che costituiscono i singoli brani. Sin dal primo, però, appare evidente che la priorità è ricreare di volta in volta un determinato tipo di atmosfera che si addica al ‘capitolo’ in ascolto. Il pezzo è oscuro e angusto come una cella, claustrofobico e serrato nelle ritmiche, disperato nelle melodie. La struttura progressive metal richiama poi nel corso dell’intero lavoro anche stilemi progressive rock derivati dall’epoca aurea, soprattutto nell’ampio spazio dedicato alla sperimentazione elettronica, a opera prevalentemente delle ottime tastiere di Grasso e dei precisi interventi chitarristici (i soli sono effettuati da Morella, le ritmiche perlopiù da Caprina).

Pur avendo tutto, Alan soffre di ansia e ogni giorno si sveglia confuso e di pessimo umore senza un’apparente ragione. Sente il bisogno di nuovi stimoli, e fugge mollando lavoro, ragazza e città. My ordinary state è un pezzo energico e dalle melodie ampie ed efficaci il cui hook è ricavato dal passaggio di chitarra zoppicante come l’umore del protagonista. Il frequente cambio di valori ritmici non impedisce alla traccia di risultare orecchiabile, pur se le sfumature possono essere colte solo nei passaggi successivi.

La frenesia del puzzle sonoro e ritmico di Things I’ve never done, distorto e disordinato nella struttura, ma solo in apparenza, come l’immagine deformata rimandata dallo specchio sotto effetto di stupefacenti, descrive il conflitto interiore che trascina Alan in ogni tipo di trasgressione fino allo sfinimento e alla decisione di tornare a casa. Si tratta del pezzo d’impatto più immediato, da cui è stato tratto anche un videoclip

4:00 a.m., non a caso la traccia numero 4, è un interludio strumentale atto a descrivere in pittura sonora il risveglio notturno di Alan, che torna a casa della ex con una telecamera, con cui riprende lo stupro e l’omicidio della donna; infine scappa, addormentandosi su una panchina. Colombo e Bardi sono più liberi di sbizzarrirsi con le ritmiche nel ricreare la suspense, così come le chitarre giocano con le tastiere all’alternanza progressiva fra elettrico e acustico.

Alan si sveglia frastornato, senza ricordare nulla, ma si accorge di essere nei pressi della casa della ex, dove scoprirà quanto lui stesso ha compiuto grazie alla telecamera. A tragic reconciliation presenta una partenza lenta e suggestiva, per sfociare in una lunga sezione strumentale ricca di cambi di valori ritmici, innesti elettronici, ed episodi solisti riservati alle chitarre e alle tastiere che ricoprono la frequente assenza della voce, lasciando tuttavia cantare gli strumenti. I coinvolgenti passaggi melodici (sia vocali che strumentali) lasciano scorrere quasi sette minuti senza che l’ascoltatore se ne accorga: il brano che ho preferito in assoluto.

Con L.O.S.T si torna alla relativa semplificazione d’ascolto. Relativa nel senso che se il brano risulta più immediato di altri e legato a strutture più classiche (da sottolineare gli interventi delle voci femminili di Sara Tommasini e del soprano Francesca Caligaris) non si discosta dall’intento principale, ovvero quello di proseguire nella narrazione, con le cavalcate ritmiche e le spirali tastieristiche della fuga in cui Alan si lancia, senza però accorgersi del fatto che qualcuno lo ha visto uscire dalla casa della ex...

Alan è terrorizzato e mette sotto sopra il suo appartamento alla ricerca di un indizio su ‘Mr. Hyde.’ Troverà un’intera collezione di videocassette associate ad altrettanti omicidi da lui compiuti. Bloody Tapes è un brano cupo e lento, dove la morbidezza della chitarra acustica appare straniante e il rilassarsi delle ritmiche evoca di conseguenza incertezza, stupore e rassegnazione in merito a quanto scoperto; infine rabbia e sconforto, anche grazie all’ottima interpretazione di Voliani, che si muove con tecnica e naturalezza al contempo sia in tonalità gravi che acute.

Adesso Alan teme che l’addormentarsi possa svegliare l’Altro e Fear of the night ci immerge da subito in un’anticamera dell’incubo, tenebrosa e melmosa, che il piano non riesce a quietare; la tensione si protrae per oltre sette minuti in cui le melodie appaiono solo un inutile contrasto al torbido che continua a emergere con suoni sporchi e aggressivi, finché il protagonista crolla nella breve My Reflection e si ha un definitivo scontro onirico fra le due personalità in cui il ‘cattivo’ ha il sopravvento, avvolto da suoni sintetici e funerei. L’energia e l’aggressività irrompono di nuovo alle 4:00 (Again) in una struttura che dal classico scivola quasi nel sinfonico, senza però abbandonare la sperimentazione elettronica: Alan si reca in una casa di appuntamenti alla ricerca di una vittima. Tuttavia, la titolare nota la somiglianza con l’identikit dell’uomo visto uscire dall'appartamento del cadavere ritrovato quella mattina e chiama la polizia (sono presenti anche alcuni campionamenti), che riesce a sventare l’omicidio della prostituta.

Con Dead Man Walkin’ torniamo in prigione, le atmosfere si fanno di nuovo pacate e morbide, soprattutto per opera della voce e della chitarra (elettrica e acustica), ma la distensione suggerisce rassegnazione e amarezza. Alan viene accompagnato al patibolo dall'incedere ossessivo delle tastiere e dalla marcia della sezione ritmica, e il disco si chiude su un soffiare di vento gelido.

Si tratta di un lavoro limato al dettaglio, che piacerà agli appassionati di progressive metal ma che, a differenza di molte altre opere prog, ha il pregio di subordinare la tecnica alla musica in sé, e le sperimentazioni alla narrazione. Melodia e slancio, dunque, non solo matematica, e per questo consigliato anche ai non appassionati.

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