– Mi garba da mori’ – sbotta Valerio. Poi ride, e non posso fare a meno di ridere anch’io.

Da morire, certo...

Il ritornello è ancora nella mia testa, anche se la traccia è terminata. Lost in the wind’s blow, na na na na... Perfetto.

Potrei anche spargere qualche voce su presunti messaggi subliminali.

Tutto fa brodo.

Mi sono persino portata la telecamera dietro. Rovisto ancora un po’ nella borsa e stavolta non acciuffo accendini o specchietti, ma il tramite fra i Motus Tenebrae e il mondo dei vivi. Voglio riprenderli e realizzare un video da scaricare in rete. Un po’ di campagna virale non fa mai male, nel frattempo. Tanto oggi funziona tutto così.

Li osservo dall’occhio artificiale, mentre districano cavi, ci restano impigliati, ridono, scherzano, chiacchierano, cantano, suonano, fumano, bevono, riascoltano i pezzi, li commentano, prendono appunti per nuove idee, si gasano. Sì, è proprio come le foto dei fantasmi. Un’irrealtà visibile e tangibile. Si vedono. Si muovono. Sani. Vivi. Fra le apparecchiature che si riproducono intatte. Esistono nella finzione del video. Della loro realtà. Della loro canzone. Dove il non-luogo si incontra con l’eternità.

“Forse quando ascolteranno il missaggio finale cambieranno idea” aveva ipotizzato Daniele il giorno fatidico. Braccia conserte, si mungeva a tratti la barba caprina.

“Bisognerebbe trovare un modo più convincente per venderci” aveva aggiunto Antonio, in tono sommesso, lo sguardo rapito al di là dei luminosi piatti di bronzo, stagno e rame.

“Ci penso io” avevo risposto.

Ci ho pensato. Eccome: 40 gocce di Minias nella birra. Mentre erano tutti fuori a fumare. Tanto per coglierli inerti. Poi magari anche un caffè. E l’Inferno. BAM! Nel freddo abbraccio della morte.

Mi guardo intorno. Ogni prova è stata disintegrata.

Devo tranquillizzarmi. Se la polizia non ha capito niente, non lo capiranno nemmeno quattro fantasmi felici di poter fare in eterno ciò che amano di più.

– ‘ste cicche... – borbotta Valerio con una smorfia di disgusto, facendosi rotolare la sigaretta da un dito all’altro. È l’unico a non avere nemmeno un tatuaggio, anche se se ne è disegnati almeno un centinaio. – Tiro, tiro ma ‘un si sente nulla. – Già, più o meno felici di poter fare in eterno ciò che amano di più...

– Anche le mie sono sciapite – bofonchia Daniele, scrutandosi il mozzicone fra l’indice e il medio a sopracciglia aggrottate, – ‘un sanno più che inventarsi per fregarci.

Non proprio tutti...

– E la birra è piscio – bofonchia Andrea, corrucciato, sgocciolando la bottiglia di Becks. Poi arriccia il naso e sghignazza. Gli cambia la faccia quando ride, diventa più rassicurante.

Antonio è muto. Trastulla la paletta nel bicchierino di plastica, lo sguardo perso sul fondo del caffè. Funziona ancora persino il perfido fornello a gas, in definitiva. Lui sembra emergere da un’ulteriore dimensione. Un ‘altro mondo’ a scatole cinesi. Ma la sua coscienza non mi sta preoccupando più, non si è reso conto di niente, si tratta solo di uno di quei giorni in cui è particolarmente lugubre, serioso e compassato, sì, ormai ne sono certa. Stato d’animo che gli sarà destinato in eterno, del resto. E cerco di non soffermarmi troppo sull’idea che adesso è un fantasma. I suoi occhi verdi sembrano cerchiati di cenere, come il prato bruciato là fuori, e m’inquietano un po’.

Tutti loro, m’inquietano un po’. Una sensazione morbosa mi attanaglia la bocca dello stomaco. Ma non è proprio senso di colpa. Se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto. Ovvio. Mi serve. E poi non è che siano proprio morti. Come auto-giustificazione è debole, ma può bastare, visto che ho dato loro l’occasione in più che cercavano. Il ‘come’, da un certo punto di vista, è irrilevante. È più un senso di...

Ecco, si! Mi fanno pena. Perché erano loro che avrebbero dovuto inquietarsi.

Provo addirittura tenerezza nel salutarli e nel vederli svanire all’incontro dello specchio con la luce che si proietta sulla parete, quando tornano nella loro dimensione: morti che non si rendono conto di essere morti. Le sigarette non sapranno più di niente, e la birra di piscio. Per sempre.

Per loro è solo andata via la luce. Per un po’. Poi potrò sempre tornare a far loro visita, se mi servirà. In fondo, non hanno mancato di prendere appunti, e hanno tutto il tempo a disposizione che vogliono per produrre nuovi dischi. Io, dal mio canto, avrò tutte le scuse del mondo per scovare ogni tanto materiale inedito che non era ancora stato recuperato. Anzi, in questi casi, certe riesumazioni periodiche sono proprio gli espedienti che non finiscono mai di intrigare il pubblico.

Comunque, a parte tutto, per stavolta hanno lavorato bene. Il pezzo è forte davvero.

Be’, a questo punto posso anche rincasare.

Ora scardino le immagini girate. Si vedono? Sì, si vedono ancora. Sembra tutto normale. Le monto sul file audio di “The Undead”. Si sente? Sì, funziona benissimo pure quello. Va bene così. In presa diretta. Niente di particolare. Casereccio. Ma realistico. Spontaneo. Come “REC”, come “Cloverfield”, come “The Blair Witch Project”. Chi lo vedrà si turberà nel pensare che si tratta delle ultime immagini di quei poveri ragazzi morti davvero. Solo che... in queste immagini sono già morti.

Rido.

Poi scarico tutto sul canale di YouTube:

www.youtube.com/watch?v=Tb3jDqQ5rk0

Lo vedo?

Yeah!

Mi auguro riescano a vederlo tutti e che non funzioni solo con me...