L’etichetta buona me li aveva bocciati all’ascolto della demo, ma io ero convinta che fossero pronti per fare il salto di qualità; così ho continuato a credere nelle loro canzoni, in loro, che hanno proseguito con le registrazioni definitive, ignari del mio piano bomba.

I metallari defunti e maledetti vendono di più, è risaputo.

A quel punto i discografici hanno annusato i soldi facili e mi hanno incaricata, previo vantaggiosi accordi anche per me, di raccogliere il materiale per l’album postumo. Tutto come da copione. Nessun intoppo.

Poi, però, ho scovato quella bella base incompiuta e li ho richiamati per così dire all’ordine. Volevo fargliela inserire nell’album, ero certa che avrebbe potuto risultare il pezzo migliore, quello che avrebbe fatto la differenza. Evidentemente non mi ero sbagliata.

Non ci sono voluti molti incontri per completarla. Ogni volta abbiamo potuto interagire senza problemi. Non si sono mai accorti di niente. Ci siamo quasi.

Il ritornello si è lasciato desiderare alla fine della seconda strofa, non si è riaffacciato. Tutto si sta snodando in un percorso strumentale che sa di morte e di rimpianto.

– Posso avere il file audio? – chiedo, impaziente.

– Certo. – Andrea annuisce lanciandomi una fugace occhiata, poi si rivolge di nuovo allo schermo. – Te lo mando dopo via mail.

Dopo? No! Come, “dopo”? Dopo non ci siete. Mi serve ora!

– Ho una chiavetta USB. – Frugo nella borsa, ma la foga mi intralcia, e trovo tutto tranne quella. – Un attimino eh... – L’ho tastata. Eccola! Gliela porgo in fretta. Sono troppo ansiosa. Mi devo controllare. – Mettimela pure qui.

Lui l’afferra sovrappensiero senza nemmeno guardarmi - sembra ‘solido contro solido’, non gli passa attraverso - e fa quanto gli ho chiesto, per fortuna, mentre la musica va avanti, tra foschi mormorii sintetici e tetri rintocchi di grancassa e rullante.

Riecco la mia chiavetta. In borsa. Tutto okay. Ho il brano. Di sottofondo, l’assolo di chitarra. Un climax languido e struggente. Un tutt’uno con la struttura sottostante. Daniele ha fatto cantare la sei corde. Lo sbircio mentre si toglie di tasca il pacchetto di Golden Virginia verde, poggiando la chitarra contro un amplificatore e muovendo qualche passo verso la porta.

No, non va bene. Potrà uscire per fumare? Cosa succederebbe se si affacciasse sull’esterno e il loro non-luogo s’incontrasse con spazio e tempo reali? Sparirebbe? Si renderebbe conto di cosa sta succedendo? Cosa vedrebbero gli altri, rimasti dentro? Meglio non rischiare. Devo fermarlo.

– Dai, fumiamocene una qui – tento in corner, – perlomeno c’è l’aria condizionata.

E tiro un sospiro di sollievo quando Daniele torna indietro. Sembrano tutti spinti ad agire sotto l’influsso delle mie parole. Si accendono la sigaretta come automi. Come se fosse la priorità, fumare. Come spiriti elementali evocati da una strega per compiere il loro dovere. O, forse, l’istinto ricorda loro che uscire per fumare non porta cose buone...

“Qui la birra si scalda se non la finite subito. Sto preparando anche il caffè” avevo gridato quel giorno. “Quando avete finito rientrate, semmai esco a fumare io. Ci pensate voi poi a metterlo sul fuoco?”

Mi ero giusto allontanata un po’, fumando, quando il fondo ha vomitato il botto. Che disgrazia...

Mi concentro, e mi fisso di nuovo sul raggio elettrico che schizza sul desktop, quasi per cambiare il discorso appena accennato con qualcuno o qualcosa che riesco a dominare ma non a comprendere del tutto, qualcosa che mi mette a disagio, anche se non troppo. E così la musica risale pian piano dal vuoto, l’arpeggio zampilla lieve, il basso gocciola cupo sul fondo, e la voce fantasma intona un’ultima preghiera.

One more chance

to be alive again

One more chance...

I wanna rise now!

Sì, ragazzi, l’opportunità per rinascere è arrivata.

Il brano è ottimo. Incanta. Lo dico loro in tutta sincerità. Probabilmente è il pezzo migliore che abbiano mai scritto. Soprattutto quando finalmente si riapre sul ritornello e lo concede un’altra volta ancora, variato, per chiudersi a riccio su un finale che rimane lì, un po’ sospeso un po’ ineluttabile, senza suggerire niente di scontato.

– Siete soddisfatti? – domando, sbirciando le loro espressioni a uno a uno. Antonio assorto, Andrea impassibile, Valerio euforico, Daniele si stringe nelle spalle e, dietro la barba, piega una smorfia a sopracciglia rialzate come a dire “Sì, se anche a te va bene...” – Il risultato vi piace?