C’è puzzo di bruciato intorno al fondo, anche se hanno già tolto i sigilli da un po’. Tutta colpa di un caffè. Niente di sospetto. Niente da indagare. È stata una disgrazia: la bombola del fornello a gas era difettosa. BAM! E fogli di carta, tende, tappeti e sedie sono andati in fumo; ma soprattutto cavi, valvole, spie, impianto, strumenti, computer, un mondo elettrico ha preso fuoco in un baleno.

Tutti e quattro morti.

I Motus Tenebrae non ci sono più.

Il nuovo disco avrebbe potuto essere una bomba, e invece la bomba se li è portati via prima della gloria.

Ma non tutto è perduto...

Azzardo qualche passo avanti e mi sporgo oltre un pezzo di porta che ciondola. Sguscio nel buio. E nel silenzio. La campagna circostante rimanda solo flebili richiami di animali notturni, mentre la sala mi fagocita e mi trattiene come un segreto.

E il segreto è nella mia borsa, che apro e frugo a tastoni nell’oscurità, alla ricerca di una superficie fredda e liscia.

Prego per un compromesso...

Artiglio lo specchietto e lo cavo dalla borsa. Sono nervosa. Mi devo rilassare. Traggo un lungo e profondo respiro, richiudendomi la porta alle spalle. All’interno, il tanfo di bruciato è ancora più opprimente, nonostante siano passati diversi giorni dalla tragedia. E non ci vedo. Così rovisto ancora nella borsa e afferro l’accendino.

Il pollice dopo un po’ brucia sulla rotella zigrinata, ma devo resistere, e riflettere sulla parete di sinistra quel minuscolo panchetto di ferro che è rimasto intatto. Lo scorgo poco più avanti, grazie alla debole fiammella. Prima, sul muro, c’era il poster della copertina del vecchio CD. Ora solo cenere. E nero. Nero che faccio brillare. Con lo specchio, con la fiamma, attraverso l’immagine riflessa di quell’unico oggetto sopravvissuto nella sua interezza. Per un portale, un’altra dimensione da proiettare, dove tutto si rianima e prende vita. O non-vita.

Dal soffitto penzola e prende a sfavillare lo scheletro di una lampadina. Bruciata. Eppure rischiara il locale, come altre fonti d’illuminazione che d’un tratto sfrigolano quasi fossero lucciole. Dal nulla. Poi il chiarore plasma di nuovo le forme e le linee, le sagome intorno alle impalcature, i contorni pieni e inalterati, oltre il buio e la rovina.

Quando non ero ancora passata a trovare i ragazzi per la prima volta, avevo visto il fondo solo nel filmati che caricavano su YouTube. Tutto sembrava molto più grande. E invece la stanza è un fazzoletto pieno di attrezzature che pare comprimere anche il respiro. Effetto ottico del video. Mixer e computer dirimpetto alla porta, l’ampia finestra oscurata dalle tende, batteria a destra, tutto il resto dove capita. Sedie incluse. Quella prima volta Antonio non c’era. Non c’era quasi mai. Ormai c’era da aspettarsi che mandasse le parti di batteria via mail, tanto che avevo dovuto pazientare non poco per trovarli tutti insieme. Però è sempre stato un grande! Fantasioso e preciso. C’è da dire che in quel periodo era impegnato anche con i rockers alternativi dei Rhumornero ed era di recente rientrato nei Motus Tenebrae dopo un periodo di latitanza; in passato aveva suonato pure con i Tossic - ma sosteneva... sostiene di essere un amante del liscio - e persino con l’horror metal band italica per eccellenza, i Death SS. In pratica, era già morto.

Adesso invece l’aria fluttua sul panchetto dietro la batteria, come l’orizzonte sull’asfalto bollente d’estate. Poi, le onde di vuoto acquistano consistenza e spessore, e si racchiudono in un profilo aquilino chino sul rullante, spalle, torace, braccia, bacchette in mano.

Antonio sembra pensieroso, al di là del pizzetto e dell’aurea funerea. Si starà accorgendo di qualcosa? Di solito, quando attacca a chiacchierare di un argomento che gli preme è loquace, ma forse si tratta solo di uno di quei giorni in cui è particolarmente lugubre. Serioso e compassato. Così lo osservo ancora un po’, cercando di percepire un qualsivoglia segnale di vita, mentre tutt’intorno si condensano grumi di massa e colore. Scoppiettano qua e là, sbocciano dal niente, scolpiscono l’aria e disegnano i contorni. Due davanti, uno di lato...

Ed eccoli tutti!

– Boia, è andata via la luce? – Daniele si guarda intorno spaesato, i capelli scuri spioventi sulla chitarra che gli penzola fino ai fianchi, la voce cavernosa, le braccia allargate in un gesto di impotenza, magro e impalato. La barba dovrebbe essere più carbonizzata di quella di Mangiafuoco, e invece tutto, dalla struttura della lampadina alla loro pelle, è tornato così com’era prima del BAM!