Registrato in diversi studio in Finlandia, mixato al Sonic Pump Studios da Mikko Karmila e masterizzato ai Chartmakers studio da Svante Forsbäck, Stones Grow Her Name, il nuovo album dei finlandesi Sonata Arctica sarà disponibile a partire da venerdì 18 maggio. I brani sono stati scritti durante il tour per il precedente album The Days of Grays (leggi qui il report della data milanese del 2011) e il frontman nonché autore dei brani Tony Kakko già aveva dichiarato in precedenza che erano stati introdotti all’interno delle composizioni “nuovi elementi e umori”.

Nel brano Alone In Heaven compare il verso “It hurts to be all alone in the fields where the stones grow dead names” e, difatti, "Stones grow dead names" era il titolo stabilito inizialmente per l’album, mentre la copertina avrebbe dovuto raffigurare due pietre tombali. Il tutto avrebbe potuto trasmettere una luttuosità ostentata, ma il cambiamento è avvenuto soprattutto in relazione all’effettivo cimitero di cui si sta parlando e che compare comunque sulla copertina definitiva, ovvero la Terra. “Her Name” ha dichiarato Tony Kakko in una recente intervista su Le magazine de Nightwish France, “fa riferimento al nostro pianeta che si sta trasformando in un grosso cimitero, a meno che noi, umani, non cambiamo i nostri comportamenti.”

 

Già dall’attacco di Only The Broken Hearts (make you beautiful) lo stile energico/melodico della band è riconoscibilissimo, in un’altalena fra rock e suggestioni folk dove, al ritornello catchy, tastiere e chitarra rispondono. Ed è proprio la chitarra di Elias Viljanen che appare più libera di sbizzarrirsi che in passato (libera anche di mostrarsi più hard e più 'grezza'), soprattutto in Shitload of Money (la storia di un angelo caduto che vuole tornare in Paradiso... a Las Vegas): un brano sostenuto, corredato da un’efficace sezione anthemica. Chitarra energica anche in Losing My Insanity, brano scritto originariamente da Kakko per Ari Koivunen, vincitore nel 2007 del talent show Finland’s Idol (a differenza dell’originale qui la chitarra risulta più heavy e il cantato più elegante); un pezzo power che farà felici i fan di Ecliptica e che, dopo un’intro pianistica, si srotola rapido e accattivante. Sicuramente meno di Somewhere Close To You, forse la traccia di minor presa immediata, ma non certo la meno interessante. Si tratta di uno dei brani più aggressivi dell’intero lavoro, dotato di riff serrato, armonie aspre, ritornello più disteso, sì, ma comunque cupo. E pure un Hammond. Un brano di cui si apprezzano le sfumature solo dopo qualche ascolto e in cui Portimo e Paasikoski possono sfogarsi con vari cambi di valori ritmici

 

Arriviamo al primo estratto, I Have A Right, singolo che da subito ha diviso il pubblico per l’impatto immediato e l’approccio a detta di alcuni troppo semplicistico (del resto, negli ultimi anni qualcuno si è lamentato perché i brani stavano diventando troppo complessi). L’andamento ripetitivo, ‘filastroccheggiante’, è dovuto al tema verbale rivolto ai bambini, in particolare l’eredità che si lascia ai propri discendenti: “Parla del modo in cui i genitori dovrebbero occuparsi dei propri figli, per crescerli come liberi pensatori, piuttosto che come schiavi del passato” ha dichiarato Kakko. Degno di nota l’episodio solista finale della chitarra.

 

Alone In Heaven parte come tipica ballata accompagnata dalla chitarra acustica, poi l’orchestra riempie la struttura e i valori ritmici si alternano fra rapidi e moderati in strofa e ritornello. Corale, anthemica, risulta immediata a dispetto degli arrangiamenti curati nei minimi dettagli. The Day è un brano scritto da Kakko all’indomani del terremoto in Giappone, ecco quindi che le atmosfere rarefatte e l’ampio spazio dato alle tastiere di Klingenberg, con temi che riecheggiano le musiche orientali, si appaiano a parti melodiche più melanconiche e struggenti.

The show must go on, e così la band ci sorprende con Cinderblox, sorta di power banjo (sono presenti anche strumenti ad arco) molto divertente (nonché divertito nell’interpretazione); una traccia che spezza l’andamento e dimostra la versatilità del combo, ferma restando la riconoscibilità dello stile.

 

Dopo le sorprese di cui sopra, Don't Be Mean risulterà il brano più prevedibile: una ballata triste e romantica in pieno stile Sonata Arctica, unica sopravvissuta fra due ai tagli causati dalla lunghezza del lavoro (la seconda ballata, Tonight I dance alone, compare come bonus track); ampio uso degli archi, linee vocali ariose e un Kakko che s’impegna anche nelle tonalità più gravi della sua estensione.

 

Ed eccoci arrivati ai pezzi che fanno la differenza, ovvero Wildfire II - One With The Mountain e Wildfire III - Wildfire Town Population 0. I titoli fanno riferimento alla traccia Wildfire presente sul quarto album della band, Reckoning Night, dove compare una linea melodica che Kakko ha voluto recuperare, sviluppando due nuovi capitoli (temi verbali: natura ed esseri umani che lottano come bestie). Nello specifico si tratta del cantato nella parte finale di Wildifire (I): una velocissima sezione orecchiabile, in effetti poco sfruttata all’interno del vecchio brano, che viene ripresa dal violino nell’intro della II e, più avanti, dalla voce. Due capitoli di quasi 8 minuti l’uno che tuttavia scorrono veloci come un libro che si lascia leggere d’un fiato. In Wildfire II ci imbattiamo in un’atmosfera da locanda medievale, con balli di archi e strumenti a corda, cupi campionamenti atmosferici e voci inquietanti; qui l’aggressività si sposa alla melodia, in un’alternanza fra sezioni rilassate e altre più tese che si protrae fino alla pioggia e i versi degli animali, introduttivi alla parte III°. Wildfire Town Population 0 erompe con una mitragliata di chitarra e batteria, simbolo forse della guerra fra uomo e natura. Incontriamo qui le sezioni più rapide e aggressive dell’intero lavoro, ma non mancano neppure gli archi e le melodie struggenti, che metteranno d’accordo i due schieramenti di sostenitori. E’ una sorta di suite, un completo biglietto da visita, alla maniera di White Pearl, Black Oceans, per intendersi, ma a mio avviso superiore sia per varietà di temi che per atmosfere. La sezione orchestrata che parte a circa metà è probabilmente quanto di più suggestivo Kakko abbia mai scritto in vita sua, da fare invidia ai compositori di colonne sonore di musica ‘colta’.

Un album dunque che accontenterà sia i fan legati ai loro brani più immediati e orecchiabili, sia quelli che hanno apprezzato le ultime prove più complesse e di meno facile ascolto. Il tutto ottimamente amalgamato in modo omogeneo. Da ascoltare più volte per apprezzare al meglio, ma già piacevole a un primo passaggio. Cosa chiedere di più?