Nel panorama musicale internazionale ci sono tante voci talmente virtuose da risultare indigeste quanto un frappé stucchevole e ghiacciato. Poi, quando ci troviamo di fronte a personalità che, pur senza particolari doti tecniche, riescono a catturare l’attenzione e a ricreare atmosfere suggestive, fioccano le critiche negative. E allora decidiamoci, perché la protagonista indiscussa dei Theatres Des Vampires è ormai la conturbante e tenebrosa Sonya Scarlet, non certo Filippa Giordano, ma, se si vuole, una sorta di Steve Sylvester in guêpière. E a me piace.

 

Moonlight Waltz è il titolo del nono studio album dei vampiri capitolini, degno seguito di quell’Anima Noir (2008) che dal gothic/black degli esordi si era spinto fino all’elettronica Industriale. L’evoluzione dei Teathres Des Vampires si è improntata via via verso un maggiore sinfonismo e commerciabilità, pur mantenendo le tipiche litanie cupe figlie della darkwave, ripulendo sempre più il cantato e incentrandolo sulla figura di Sonya sin dalla dipartita di Lord Vampyr e del suo growl.

 

Molto più orecchiabile e di facile ascolto di tutti i lavori precedenti, ma non per questo meno curato negli arrangiamenti, Moonlight Waltz si presenta come un disco elegante e suggestivo, vario e omogeneo al tempo stesso, levigato e ruvido, raffinato e crudo, morbido, decadente e – perché no? – catchy. Armonioso, lascia intuire sin da subito che maggior risalto sarà dato all’orchestrazione, più che all’elettronica. Senza troppi virtuosismi o cambi di valori ritmici, il sound risulta al passo con i tempi. I luoghi comuni presenti nei primi lavori, sono quasi scomparsi, a partire dalla parola “vampiro”, mentre il sangue si affaccia solo in determinati brani.

 

L’apertura è affidata a Keeper of Secrets: molto orchestrato, dallo spiccato sinfonismo, quasi pomposo, si risolve come brano energico e al contempo soave (forse la trovata cinematografica del carillon appare prevedibile nel suo voler straniare l’ascoltatore dalle crudezze narrate); il ritornello, ampio e aperto, resta impresso a un primo ascolto, mentre i cori imperiosi si configurano come un’invocazione al Custode dei segreti.

L’intro elettronica di Fly Away dura solo pochi secondi e, eccettuati alcuni brevi episodi successivi, preannuncia l’andamento dell’intero lavoro, che si discosta dalle atmosfere passate orientandosi verso l’orecchiabilità (da sottolineare l’ottimo lavoro come controparte vocale maschile svolto da Snowy Shaw dei Therion), soprattutto nel ritornello, dove la melodia vocale è accompagnata da un efficace giro di chitarra.

Il brano lento e struggente che dà il titolo all’album, dolce e notturno Inno a Luna, rievoca tempi ormai andati mentre Carmilla (pezzo trainante del disco da cui è stato tratto anche un videoclip girato da David Bracci, già collaboratore della band in passato nonché di Dario Argento) si snoda accattivante e sinuoso intorno al prepotente hook del riff tastieristico, fino all’a solo di violino finale.

 

Con Sangue (il titolo non lascia scampo), proseguiamo con il genere di liriche caro al gruppo romano (se statisticamente i vocaboli usati agli esordi sono diminuiti nel corso degli anni, qui la parola "sangue" è ripetuta oltre che in italiano anche inglese, francese e tedesco), in un brano dall’andamento aggressivo e sofferto.

Dopo la rivisitazione di Rain del Cult nell’album precedente, qui incontriamo Figlio della Luna, brano del 1989 del gruppo spagnolo pop dei Mecano che lo aveva pubblicato nella propria lingua già nel 1986. Rispetto all’originale troviamo ovviamente maggior durezza (dovuta soprattutto al’intervento della chitarra in distorsione), nonché sinfonismo e coralità, ma l’atmosfera misteriosa e appassionata dell’originale resta invariata

 

In Black Madonna, gli evocativi cori lirici, ecclesiastici (che però si riversano quasi subito su un’impalcatura decisamente energica e distorta), appaiono quasi un richiamo, un’invocazione - unitamente al sussurrato femminile e alla gravità dei rimandi maschili - al personaggio di cui si narra (incarnato prima da Salomé e poi Maria Maddalena). Probabilmente il mio brano preferito.

 

Illusion, traccia relativamente poco sostenuta, dominata dalle tastiere, strutturata sulla forma canzone standard, si dipana soffocata e a tratti colorata dalla voce maschile, nonché impreziosita da un doloroso a solo di chitarra.

 

Un forte richiamo ai Death SS di Humanomalies si affaccia invece in Le Grand Guignol (da segnalare in questo brano l’ospitata di Cadaveria), a partire dall’iconografia del teatro del sangue fino alla parata dei freaks. In tensione, angoscioso e angosciante, ricco di armonie cupe e tetre, si accoppia "all’Obsession" del brano successivo: i campionamenti del temporale, l’elettronica zoppicante, e il cantato asfissiato e pittorico del tema (“an obsession is owning me/It turns me in a spiral of death”) si unisce in modo decisivo ai minacciosi cori operistici.

Con The Secret Gates of Hades ci ritroviamo definitivamente all’Inferno, accompagnati però da atmosfere rarefatte, pur se sostenute da un impianto corposo.

Il finale è assegnato al sangue e alla mitologia di Medousa (qui troviamo invece Eva Breznicar dei Laibach): le note della tastiera paiono sgocciolare come il sangue dalle vene, quando il tutto si apre con un’orchestrazione potente e un muro di chitarre combattivo, impetuoso; i versi del mostro uniti ai cori torvi si chiudono infine sul solitario e sinistro carillon dell’apertura.

 

In definitiva, si tratta di un disco ben strutturato, sia per quanto riguarda la composizione dei brani sia per la produzione e i suoni. Consigliabilissimo sia agli amanti del gothic e dei vampiri, sia agli ascoltatori che si stanno avvicinando da poco alla materia.

 

Tracklist:

 

01. Keeper of Secrets

02. Fly Away

03. Moonlight Waltz

04. Carmilla

05. Sangue

06. Figlio della Luna (Mecano cover)

07. Black Madonna

08. Illusion

09. Le Grand Guignol (feat. Cadaveria)

10. Obsession

11. The Secret Gates of Hades

12. Medousa (feat. Eva Breznicar)