Il piccolo Philip è a scuola e non aspetta altro che finiscano le lezioni, l’ora di matematica della signora Thompson è infinita e sembra più noiosa del solito. Quel giorno lo zio Bob, il miglior zio del mondo, sarebbe andato a prenderlo per accompagnarlo al Luna Park, a bordo del suo suv rosso fiammante. E per un bambino di sei anni ben poche cose al mondo possono essere più allettanti delle giostre. Arriva lo squillo della campanella, ed ecco finalmente zio Bob con la sua macchina. I compagni sarebbero morti d’invidia a vederlo salire su quella specie di navicella spaziale. Un’intera giornata al Luna Park era più di quanto egli potesse desiderare. Ma zio Bob aveva cambiato programma: Philip era un bambino speciale e meritava qualcosa di meglio. La gita sarebbe durata di più, molto di più.

L’Atlantide Entertainment sceglie una strada ormai aperta da tempo, ma ancora poco consueta in Italia, quella dell’audiolibro. Un progetto cross-media - un supporto multimediale più agile del cartaceo - per divulgare il racconto forte e violento di Yuri Storasi, La Bobbycosa. Una storia con un intreccio semplice e ben cucito tra passato e presente su di un tema che indigna e reclama attenzione: la pedofilia. Una questione difficile e delicata, la cui narrazione non può avvalersi solo di momenti splatter e spruzzate di sangue qua e là, che deve fare necessariamente i conti con i colori di male, sofferenza e morte.

Ciò che ne vien fuori è un racconto prosciugato, fino alla scarnificazione. Di una lucida linearità, con pochi attimi di enfasi e quasi completamente privo di retorica. Ottantatré minuti di tensione costante. Una storia scandita dalle dinamiche psicologiche del protagonista. Fiducia e preoccupazione, paura e odio, voglia di resistere e angoscia, speranza e desiderio di morte sono le alternanze attraverso cui è agganciato l’ascoltatore. Si vorrebbe sentire di più, andare più a fondo. Viene la tentazione di leggere. Ma il canale non lo consente e obbliga a una certa distanza. La vicenda scivola via nel giro di poco e i personaggi rimangono schizzati. Gli ottanta minuti di ascolto scorrono veloci. Un lettore d’eccezione narra la vicenda e dà vita ai personaggi: Francesco Pannofino, la voce italiana di George Clooney, Denzel Washington e Mikey Rourke. Difficile immaginare un interprete migliore.

Il racconto di Storasi è prima di tutto uno slalom tra violenza psicologica e fisica. I soggetti galleggiano passivi tra un passato e un futuro tenuti assieme dalla sofferenza provata dal protagonista. Un bambino, ormai quasi adolescente, che esorcizza il male subito attraverso la vendetta, un uomo penzolante, colpevole, senza possibilità di riscatto. Una gamma limitatissima di possibili azioni a disposizione, per dipingere l’orrore e l’irrazionalità di un dolore acuto e incancellabile che alla fine conducono a una paradossale identificazione tra vittima e carnefice. Il susseguirsi sintetico dei capitoli innesca un processo radicale di stilizzazione che si coniuga perfettamente con il realismo della situazione. La registrazione pulita evoca immagini fredde e ha buon gioco nel rappresentare l’ostilità degli ambienti che fanno da teatro a gran parte della vicenda. Una baita sperduta tra le montagne che è lo spazio psichico dove l’innocenza stuprata del protagonista intrattiene ormai rapporti patologici con se stessa.

Così La Bobbycosa, pur attingendo molto dai codici dell’horror, con una formula comunicativa che non si appoggia né allo schermo, né alla carta, si avventura nel tentativo di costruire un verosimile al di fuori dei confini di genere. Con un’inclinazione evidente per un freddo e stilizzato realismo, schermato e impreziosito dal contributo di Pannofino, per la lettura italiana, e Malcolm McDowell (Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, 1971, Halloween - The Beginning di Rob Zombie, 2007, Doomsday di Neil Marshall, 2008) per quella in inglese. Una trama che con pochi elementi disegna bene la cicatrice profonda del piccolo protagonista, la compromissione del suo passato e del suo futuro. Un progetto coraggioso che di più forte, però, ha l’argomento trattato. Un tema che prende facilmente allo stomaco e suscita reazioni convulse. Sorge il dubbio che l’effetto sortito sia dovuto principalmente a quest’ultimo aspetto.

E vien da pensare a una certa furbizia. Che di fronte alla violenza sui piccoli i nostri nervi siano già troppo scoperti?