Dopo un'attesa di oltre sei mesi, dovuta al cambiamento di nome e artwork in seguito a una diffida della Prelatura Personale della Chiesa Cattolica (il gruppo era precedentemente denominato Opus Dei), arriva finalmente il nuovo progetto di Steve Sylvester: W.O.G.U.E. (acronimo per Work Of God United Entertainment).

Alla base del progetto, oltre a Sylvester, c’è il bassista producer e compositore dell'area dark-wave fiorentina (ex componente della band Soul Hunters e di recente one-man-band del progetto breakbeat Weird Uncle Betty), JJ Masini. Completano la formazione il tastierista e produttore Freddy Delirio (anche lui in forza ai Death SS, fra l’altro si è occupato dei suoni e del missaggio), Gherardo "Ghez" Monti, chitarrista e rinomato sound-engineer, e l'ex modello e session-man Lorenzo "Carranza" Calonaci alla batteria.

Sicuramente si tratta di qualcosa di completamente diverso da quello a cui Sylvester ci aveva abituati (pur se con i dovuti richiami stilistici), ma non meno interessante. Le influenze sono varie: si va dal rock progressivo inglese dell’epoca aurea, nello specifico quello più tenebroso dei Black Widow, alle sperimentazioni noise e industriali dei primi Nine Inch Nails, attraverso la new wave di matrice dark di gruppi quali Sisters Of Mercy e Depeche Mode. Sfumature ricavate dalle pennellate incrociate di Sylvester e Masini.

 

Se l’ultimo sigillo dei Death SS era una summa dei precedenti, il filo a cui riagganciarsi è l’elettronica di Humanomalies, riconoscibile dalle prime tracce, melodiche, ma arricchite da sampler e arrangiamenti noise. My Goddess apre il CD. L’entità a cui si rivolge il protagonista (tutti i testi sono di Sylvester) è la personificazione dell’amore-odio, conoscenza mistica e dolore, dolcezza e punizione, Paradiso e Inferno. Ed è appunto la storia di un amore destinato a finire, quella che si dipanerà nel corso delle tracce, un amore decadente, che può essere l’amore per una persona, come per un sogno, un’idea, una religione o forse - perché no?- un vecchio se stesso che muore.

 

Non c’è più il vampiro mostruoso, nero, demoniaco, magico, panico e diverso che ha dominato in veste di protagonista i concept dei Death SS, ma un essere fragile, crepuscolare, disilluso, alle prese più con i suoi demoni interiori, che con quelli dipinti sulla sua faccia; già dalla traccia intitolata Bleeding (brano catchy, di facile ascolto, dotato di un ritornello assai efficace) intuiamo però che le suppliche non verranno ascoltate.

Mesmerized è forse il brano di impatto più immediato dell’intero lavoro. Il protagonista è completamente ossessionato, ipnotizzato, paralizzato, ‘mesmerizzato’, dalla presenza al suo fianco; dal punto di vista musicale, le suggestioni synth-pop sviluppano un brano per certi versi avvicinabile persino alla dance.

Cupo e ricco di sfumature primi anni ’80 è anche Where love has gone. L’amore è finito, ma c’è ancora la forza, di chiedersi perché, mentre con Liar giungiamo al culmine della rabbia e del rancore, con un incedere musicale ossessivo/aggressivo.

 

La presa di coscienza dell’errore, la volontà di distanziarsi, arriva alla traccia centrale, Blow my mind, larga, altalenante fra il rock alternativo e la new wave; Shock me è perciò il bisogno della resurrezione, di una nuova carica di energia, ed è non a caso il brano in cui le chitarre la fanno da padrone.

Ma i ricordi sono difficili da cancellare: dall'andamento ampio, Hold me, Touch me, Heal me è la traccia dall'atmosfera più - se mi è consentito il termine - ‘depechemodiana’, anche se la chitarra cambia di continuo le carte in tavola.

C’è tempo però anche per il rock più granitico e tastieristico dei primi anni ’70, con Falling into you, un brano in pieno stile Uriah Heep che trova, comunque, grazie ai testi verbali, un suo contesto significativo all’interno del disco: è la rabbia del rendersi conto di essere ricaduto di nuovo nella ‘malattia’, in qualcosa di sbagliato che porterà all’autodistruzione (“Now I’m going to take my mind away/Drinking at your mountain of decay”).

Ed è proprio l’autodistruzione della droga, della depressione e dell’ipotesi del suicidio a cui si arriva in Desperation, tema rispecchiato dall'andamento sinuoso e strisciante, infido; la traccia più industriale, equipaggiata di un finale tastieristico ‘maestoso’.

 

Ma ecco che, con Out of time, abbiamo una sorta di soluzione freudiana: non c’è rimozione che tenga (“Nowhere to run, no place to hide/everywhere I go I’m trapped inside”), cancellare non è una cura quanto l’imparare a convivere con il problema stesso (“No more words, there’s nothing left to say/but you’re still in my brain”), sarà il tempo, poi, a mitigare le ferite e a concedere l’opportunità di vivere una nuova vita (“I just want brand new sensations/I just need to live my life without you/’cause time will cure the pain”). Molto elettronica, munita di un ritornello orecchiabile (da sottolineare l’ottimo lavoro di background vocale fatto in tutto il lavoro da Romina Malagoli), è un mix già pronto per le discoteche.

 

Con Sometimes ci interroghiamo infine razionalmente su ciò che è avvenuto e sulla strada da intraprendere in futuro. Con la chiusura del cerchio, ci imbattiamo di nuovo in un episodio riassuntivo di alternanza fra synth pop e chitarre alternative, sancendo in definitiva la linea intrapresa.

 

Anche se l'ascolto del disco risulta piacevole sin dal primo ascolto grazie a suoni morbidi e melodie orecchiabili, la cura negli arrangiamenti ne permette una valutazione ancora più positiva ai successivi ascolti.

 

Il futuro è nella contaminazione. Futuro che potrebbe essere roseo per i W.O.G.U.E. se continuassero su questa via, sempre diversa da qualcosa che c’era prima, sempre più simile ai W.O.G.U.E.

Tracklist:

1. My Goddess

2. Bleeding

3. Mesmerized

4. Where love has gone

5. Liar

6. Blow my mind

7. Shock me

8. Hold me, Touch me, Heal me

9. Falling into you

10. Desperation

11. Out of time

12. Sometimes