Si lava la punta delle dita in una bacinella piena di sangue e la vedo alzare il coperchio di un altro vassoio. C’è una bambina a pezzi. Guardo di nuovo in faccia la dama e vedo che adesso ha volto di teschio; ma la mia attenzione è attratta dai movimenti sul vassoio e vedo che la bambina si sta ricomponendo da sola. Mi prende una mano. Mi volto. Voglio scappare. Non ci riesco. Ansimo. Mi volto di nuovo: ora è Jacopo che mi sta afferrando per un braccio. Lucida non c’è più. Lui sorride e mi copre col suo mantello. Vedo tutto nero.

Alzo il mantello e sono di nuovo nel mio letto. Sento che qualcosa sta uscendo da me. Allargo le gambe. C’è una pozza di sangue sul lenzuolo e un feto a forma di pergamena arrotolata scivola sul materasso senza procurarmi dolore. La apro. C’è stampato il volto di Jacopo che osserva i fuochi d’artificio.

Li sento...?

Mi svegliarono il trapano e il martello dell’inquilino del piano superiore. Nei giorni di festa, per la mia gioia, si dava sempre al fai-da-te sin dal primo mattino.

Ma quel giorno non gridai rivolta al soffitto.

Senza pensare ad altro corsi al computer e cercai di appuntare il sogno che avevo appena fatto. Avrei potuto trarne un racconto, ma ancora non mi sentivo del tutto tornata alla realtà. Non trovavo la “v”. Le mie dita si annodavano sulla tastiera come se dovessero ancora svegliarsi e le lettere si mischiavano sullo schermo in una grammatica di pura invenzione mattutina. Maledetto trapano! Mi sgusciò l’indice sulla “l”. Che sogno allucinato... Una sfilza di “d”. Avevo la vista annebbiata. Alcune lettere s’incantavano. Alcune... la D, la V e la L!

DiaVoLo d’un commediante!

Mi lanciai getti d’acqua gelata sul volto, ma il pensiero che roteava nella mia mente non voleva andarsene. Era lui. Era lui che voleva farmi tornare dove c’eravamo lasciati. Troppa gente. Troppa confusione. Meglio parlarsi con un po’ più d’intimità, no?

Forse stavo solo giocando con la mia fantasia, ma il provare a tornare sul posto per togliermi ogni dubbio, mi sarebbe costato solo qualche goccia di benzina, e ne valeva certo la pena.

Presi dunque la macchina e tornai da sola al Ponte del Diavolo.

La gobba del ponte mi attendeva, opaca e assolata nel giorno dopo il Grande Sabba. La inforcai come se il sogno non fosse ancora terminato, e il battito del cuore m’intralciò il respiro quando vidi Jacopo attendermi in piedi sul lastricato, nel punto più alto della costruzione, lì dove stava la macabra commensale del mio sogno.

Dopo gli odori, i rumori e le corse tra la folla della sera della festa, l’antico ponte di montagna era tornato a riposare solitario, nella quiete di un mattino comune. Era come se fosse lì solo per sorreggerci, e l’aria che lo incorniciava era così silenziosa da risultare ovattata. Niente più turisti. Persino all’osteria di fronte tutto taceva.

Solo un motore in lontananza. Sempre più smorzato.

Poi di nuovo lui e basta.

Trovarlo proprio lì, in quel momento, con quell’espressione seria dipinta sul volto più bianco di quello di un pagliaccio triste, mi diede la certezza che tutto non stava avvenendo per caso, che qualcosa di strano e terribilmente reale stesse piombando sul mio capo troppo umano, forse, per sorreggerne il peso.

Ero terrorizzata.

Ma anche felice di rivederlo.

Mi spinsi a due passi da lui, e non so quale naturalezza o follia m’indusse a chiedergli: – Ti ha ucciso Lucida, vero?

Sorrise con amarezza, accennando un “sì” con la testa.

– Ma – esitai – perché?

– Volevo partirmene per fare il commediante. – Mi osservò un istante in silenzio. – Lucida non accettò la mia decisione. – Avrei voluto spiegargli che il mio “perché” sottintendeva altri interrogativi, e cioè: “Perché, fra tutti, sei tornato proprio tu?”; e “Perché da me?” – Voi – ma Jacopo mi prevenne – potete aiutarmi.

– Io? – Non capivo.

– Sì, voi. – Mi regalò il sorriso più dolce del mondo, e non ebbi più paura. – Scrivereste una commedia sulla mia persona, in modo ch’io possa far quel che desideravo, recitando nella vostra fantasia?

Rimasi sbalordita e mi occorse del tempo prima di mormorare: – Proprio una commedia? – Sospirai. – Vedrò cosa posso fare.

Non riuscii a trattenermi dal ridere, e lui rise con me, prendendo la mia ilarità come un cenno d’assenso.

– Mi date dunque la vostra parola?

Ci fissammo e sentii il mio sorriso svanire sotto il suo sguardo tornato serio.

– Te lo prometto.

Non feci in tempo a sorridere di nuovo, non feci in tempo a chiedergli cosa mi avrebbe dato in cambio. Bellezza? Giovinezza? Amanti dai sogni più grandi di loro?

"Non piango e non sospiro

Che sospirar, che lagrimar non posso,

Cadavero infelice,

O mio core, o mia speme, o pace, o vita!"

Vidi la sua immagine farsi grigia ombra di sogno, e volar via come cenere, nel suo sorriso che infine m’abbracciava.

Rimasi in piedi sul ponte finché non ricominciai a sentire il vento stormire tra le foglie in lontananza, e il suono di un clacson.

Ma non feci come Orfeo.

Tornai alla macchina senza voltarmi.