Seguimmo il percorso di Lucida fino al Ponte, dove i fuochi d’artificio e il batticuore mi fecero dimenticare Lisa e Daniele.

Fu quando provai a toccarlo, però, che mi sentii smarrita. Avevo avuto come la sensazione che la mia mano gli fosse passata attraverso. Scacciai in fretta quel pensiero, attribuendone l’origine al caos, finché l’arrivo sul Ponte mi tolse ogni dubbio.

Sotto i nostri piedi c’era ormai la magica costruzione, e le dita di Jacopo, intrecciate alle mie, m’infusero finalmente la certezza della sua stretta. Eppure, una sorta di agitazione morbosa ancora mi si aggrappava al respiro. Inspiegabile. Quasi onirica.

– Sapete perché i ponti son costruzioni magiche? – Le sue parole mi sorpresero e scossi la testa, disorientata. – Perché riescono a unire ciò che la natura ha diviso.

Senza quell’atmosfera e tutta quella gente intorno, non so se sarebbe andata allo stesso modo, ma quando mi baciò lo lasciai fare, come se non lo avessi conosciuto solo poco prima. Nessuno faceva caso a noi, così come io non mi curavo delle spinte che ricevevo nella mischia, quasi fossero pezzi di realtà estranea al mio presente.

Infine arrivò un urto più energico degli altri e mi voltai per vedere chi fosse stato a interrompere quel momento incantato.

Quando feci per afferrare di nuovo le mani di Jacopo, trovai il vuoto.

Era sparito.

"Tra il notturno silenzio e i lieti orrori..."

i versi che ancora mi risuonavano nella testa:

"... a temprar tante fiamme e tanti ardori!"

Continuai a guardarmi intorno per qualche istante, speranzosa che prima o poi il mio bizzarro compagno ricomparisse, ma il cuore prese a battermi più forte del fuoco d’artificio, nell’inspiegabile certezza che non sarebbe successo.

Infine, tra la folla, riconobbi i volti preoccupati di Lisa e Daniele.

– Ti stavamo cercando – esclamò Lisa quando mi ebbe raggiunta. – Che è successo?

Le loro sopracciglia aggrottate mi misero addosso uno strano senso di colpa.

– Sono stata trascinata dalla gente che correva a vedere i fuochi – risposi. Infilai una mano in tasca. Avevo sette “chiamate non risposte” e un paio di sms. – Che casino – conclusi buttando uno sguardo in giro.

"Tra il notturno silenzio e i lieti orrori..."

Il ritorno a casa fu di una tristezza indescrivibile.

Mi spogliai col fiatone e me ne andai a letto cercando di scacciare il pensiero di quel che era successo.

Ma il mio inconscio non fu d’accordo.

Mi tirai la coperta fin sopra la testa e...

... lo spazio fra me e il lenzuolo diventa un antro di muschio e umide rocce, curve scivolose e linee di carne. Lui mi sta abbracciando dal buio e mi sento sopraffatta da quest’idea di rifugio. La sensazione di fare l’amore con lui è reale e concreta. Tutto è sfocato e sensuale al tempo stesso. Poi il suo braccio che punta una stella diventa il Ponte e vedo la lunga curva in salita di fronte a me. C’è una donna vestita di giallo seduta a tavola, in mezzo al Ponte. Mi dà le spalle e pare non si sia accorta della mia presenza. Non c’è nessuno intorno. Mi avvicino e mi posiziono dal lato opposto del tavolo, per poterla vedere in faccia. Lei alza il viso verso di me - somiglia alla Giuditta di Artemisia Gentileschi - e mi sorride con la bocca sporca. È come se avesse mangiato pane e cioccolata, ma una cioccolata purpurea, che intorno alle labbra si è mischiata alla cipria e al rossetto delle dame cannibali. Così guardo il pranzo. C’è una testa di giovane uomo nel piatto e lei gli sta rovistando nel cranio con un coltello.

– Come avevo previsto – esclama con voce stizzita, – non aveva niente nella testa.

– Sei Lucida? – mi sento chiedere.

Lei neanche mi ascolta e afferra un’altra testa, posta stavolta su un vassoio d’argento ricoperto da merletti bianchi. È la testa di Jacopo.

– Lui, verbigrazia, aveva ingegno! – Gli infilza un minuscolo coltello (o è il dito di Freddy Krueger?) nell'angolo di un occhio e lo fa roteare per farlo affondare sempre di più. Il bell’occhio celeste comincia a sgusciare fuori e quando, come un burattino, gli pende sulla guancia seguito da (penso) delle graziosissime cordicelle colorate, la dama lo strappa. – Troppo – conclude in tono ironico; poi se lo infila in bocca gustandoselo a occhi chiusi.

Infine affonda le dita nell’occhio rimasto e, con lo stesso rumore prodotto da chi scava sulla sabbia bagnata della riva, lo estrae. Afferra dei fiori da un vasetto sul tavolo e glieli pianta nelle orbite vuote, dopodiché getta l’ occhio nel vasetto.