Il Sancta Sanctorum è quell’area del Tempio che custodisce l’Arca dell’Alleanza, ma da adesso è anche la denominazione di un supergruppo composto da mostri ‘sacri’ del rock italico, ‘alleati’ col fine di lasciare un segno nella storia del dark/hard rock, così come l’Arca è segno della presenza di Dio sulla Terra.

Formatisi nel 2007 dall’incontro fra Steve Sylvester dei Death SS e Thomas Hand Chaste (Andrea Vianelli), batterista della prima line up della storica horror metal band, si sono riproposti di partire dalle origini che li hanno uniti nel lontano 1977 per ripercorrere le esperienze maturate nel corso delle loro rispettive carriere, fino ad arrivare a un suono per così dire ‘cumulativo’ e proprio per questo sperimentale: un ibrido fra vampiro e uomo lupo.

Le influenze dei Sancta Sanctorum spaziano dunque dall’hard e il progressive rock degli anni ’70 all’elettronica più oscura del dark/new wave, passando per il doom, senza tralasciare i temi esoterici a loro sempre cari.

Completano la formazione il bassista Gabriele Tommasini, anch’egli nel combo originale dei Death SS col nome d’arte di Danny Hughes, noto per aver militato anche nella band jazz pop dei Violet Eves e rinomato session-man; il giovane chitarrista Frederick Dope e John Di Lallo, ottimo tastierista che ha contribuito a ricreare il sound seventy della band, coadiuvato in alcune parti anche da Vianelli.

E sono proprio i suoni vintage di The end is near, soprattutto quelli della tastiera (suoni ecclesiastici, per meglio dire, che giustificano in parte il titolo), che ci riportano in pieno progressive anni ’70: accordi monumentali, e una costruzione che poco ha di orecchiabile se non la ricercata ossessività. L’inconfondibile voce di Steve, a tratti più aspra e grezza rispetto alle ultime prove, si snoda in un testo apocalittico che fa da apripista a quelli che saranno i temi portanti dell’intero lavoro; Sylvester torna spesso addirittura alla vocalità dei primi lavori dei Death SS, per abbandonare la diversa impostazione presa negli ultimi.

La melodia si affaccia con Black Sun, probabilmente la traccia di più facile ascolto e di presa immediata. Brano Dark/New wave si rifà ai generi di riferimento anche per quanto riguarda i testi verbali, rivolgendosi al passato e alla malinconia o, forse, persino agli anni in cui i due autori dei brani suonavano insieme, e magari a persone - o solo personaggi - che si sono lasciati alle spalle: “I’m looking back/at all the years gone by/the times I’ve spent wondering why/the other lives/that now I’ve left behind”.

Nothing left at all, brano sulla perdita delle speranze e di se stesso, più fondato sull’heavy delle origini, si configura nel complesso come un pezzo doom in cui tornano ruvidità e durezza.

A metà fra la fiaba oscura e il mito biblico, Master of destruction è una costruzione più ampia e lenta, arricchiata da sampler finali cari anche all’operato dei Death SS. L’incedere ossessivo del riff si lega perfettamente alla linea di chitarra del brano successivo, Desperate ways, sinuoso, sussurrato, serpentino, che nel ritornello si apre affondando in tappeti di tastiera. Un brano di protesta, per cui non si crede nell’amore, né in Dio, né in Babbo Natale, ma solo in ciò di cui si è stati alla ricerca per ritrovarsi: se stessi. Ecco che i testi possono apparire d’amore come d’amicizia, o essere semplicemente intesi come rivolti a un ideale, a un’esperienza di vita.

 

Esperienze amare, incentrate perlopiù sul venir meno delle aspettative. Come già si può intuire dal titolo, When hopes are all gone è un’altra di queste, ma qui si arriva a specificare che “il destino è segnato”. Una sorta di suite psichedelica multi sezionata, comprensiva anche di un inserto in recitativo, varia e sostanziosa, così come i suoni di ogni strumento.

La sacralità si sporge ancora pure a livello musicale dall’intro tastieristica di The soul of truth, dove il suono dell’organo a canne si sposa con un muro di chitarre e frequenti cambi di valori ritmici in stile prog. L’appaiamento con liriche scagliate contro i pregiudizi e chi impone il proprio stile di vita rende parodistico il suono ricreato, e fa pendant con il rivolgersi di Bread of tears a una figura sacra che invece di proteggere fa soffrire, sempre accompagnata da una costruzione in cui l’introduzione di tastiera si lega al muro della chitarra, vinta da una corposa batteria.

L’intro ‘spaziale’ di No expectations è più in stile Dark/New Wave, ma al tempo stesso non abbandona la tematica sonora dell’ossessività che si allarga nel ritornello. I temi apocalittici si fanno sentire più diretti come all’inizio del lavoro: non è qualcosa di privato, ma qualcosa di rivolto all’umanità intera: “We walk the endless path/that leads to neverlend/our destiny is our death/the prophecies are consumed/the end is here/mankind will soon disappear.” Pe tornare poi nel privato con When you die, dove si inneggia al Carpe Diem ma per motivi ben precisi: “Don’t waste your time in asking/is all this wrong or right/you cannot know it now/you’ll only find the answers/when you die.”

Sicuramente un ottimo lavoro nel suo genere, un album di tutto rispetto che, fra l’altro, farà gola anche a molti collezionisti, dato che la Black Widow lo ha fatto uscire in più formati. Oltre al CD standard, difatti, è possibile trovare The Shinig Darkness anche in versione vinile (nero o viola), più due stampe limitatissime: in CD con quadretto e in vinile con quadro numerato. Da segnalare l'artwork psichedelico dello stesso Sylvester.

TRACKLIST

01. The end is near

02. Black Sun 

03. Nothing left at all

04. Master of destruction

05. Desperate ways

06. When hopes are all gone

07. The soul of truth

08. Bread of tears

09. No expectations

10. When you die