Ciao Barbara, la nostra ultima chiacchierata pubblica risale al luglio del 2008. All’epoca era da poco uscito “La bambola di cristallo” e avevi già in mente di proporre il seguito che sarebbe diventato “Bambole pericolose”, uscito lo scorso febbraio. Nel frattempo hai pubblicato “La casa di Amelia”, sequel di “La collezionista di sogni infranti”, più vari racconti sparsi fra antologie e riviste. Siamo a marzo, e già abbiamo potuto leggere il nuovo “Lullaby”. Quanti altri romanzi stai già scrivendo?

I tempi dell’editoria sono molto lunghi e spesso i romanzi vedono la luce molto tempo dopo essere stati scritti. Questo è accaduto per esempio con “Bambole pericolose”. Per quanto riguarda “Lullaby – La ninna nanna della morte” il discorso è particolare. È il mio romanzo che ha avuto la lavorazione più lunga: anni di scritture e riscritture, l’ultima delle quali a poche settimane dalla pubblicazione. Per questo dico spesso che questo romanzo è stato scritto con il sangue. Ora sto lavorando a un progetto molto diverso dai precedenti, ma non voglio anticipare nulla, lo sai che sono superstiziosa: ). E poi a volte capita che ti vengano proposti progetti di cui ti innamori e che hanno magari tempi ristretti. In questi casi non ho dubbi: interrompo ciò che sto scrivendo e mi dedico anima e corpo al nuovo arrivato. È avvenuto per “La casa dagli specchi rotti”, il racconto lungo uscito nell’antologia “Il mio vizio è una stanza chiusa” curata da Stefano di Marino e pubblicata nell’inverno 2009 nel Supergiallo Mondadori. Racconti ispirati alle trame dei film degli anni 70. Mi ci sono letteralmente tuffata a capofitto.

Riguardo i sequel, quando scrivi i tuoi romanzi sai già in partenza che la storia non finirà o l’affetto dei lettori, dovuto al successo dei romanzi, ti spinge a regalarci nuove avventure? “Lullaby” si chiuderà qui?

Non ho mai deciso a priori di scrivere un sequel. Di solito sono i personaggi che mi chiedono di vivere nuove storie. È stato così per Amelia, la protagonista delle due fiabe nere uscite per Perdisapop. È stato così per Eva, la bambola dagli occhi di cristallo. E poi le mail d’affetto dei lettori hanno avuto la loro parte.

Le bambole sono per te passione e ossessione e ne abbiamo già parlato anche la volta scorsa. Qui ce n’è un’altra da incubo, alla lettera, e a farle compagnia tanti orsacchiotti “cattivi”. C’è una ninna nanna e un plot quasi da fiaba. Questi legami col mondo dell’infanzia, ti hanno fatto sentire più vicina a Giada che a Marcello?

Mi sono sentita vicina a Giada e in certi momenti avrei voluto tranquillizzarla e spegnere per un attimo i suoi incubi. E che dire di Marcello? All’inizio mi ha respinta con forza, cosa che mi hanno confessato anche alcuni lettori. Ma poi è troppo “vero” per non comprenderlo. Abita in via dell’Arte con la “A” maiuscola, vorrebbe diventare uno scrittore, ma riesce a scrivere solo “pensierini”; convive con una madre soffocante e con la consapevolezza di essere un “signor nessuno” ma non rinuncia a tentare di migliorare la sua condizione.

Marcello è un aspirante scrittore di mezza età col famigerato blocco, anzi, non ha mai scritto niente, mentre tu sei una giovane autrice già affermata e prolifica; Marcello è decisamente sgradevole d’aspetto, mentre tu sei una bella ragazza; Marcello è un debole, tu molto determinata. Com’è stato caratterizzare un personaggio con il tuo stesso interesse ma tanto diverso da te? Lo ami davvero come ogni scrittore ama tutte le sue creature?

Fatico a inquadrarlo io stessa, ma lo amo alla follia. Marcello è indefinibile, è l’elemento caotico che irrompe nella sonnolenta vita di provincia. Lo considero un antieroe. Nonostante la sua manifesta incapacità, non si arrende nemmeno di fronte alla pagina bianca. Si lascia deridere, ma poi torna all’attacco più agguerrito di prima. Dietro la sua apparente inerzia, è un vero combattente. E quando la catena di delitti sembra inarrestabile, riesce a trovare la forza interiore per condurre un’indagine personale alla ricerca di una verità sepolta tra le pieghe di una quotidianità soffocante.

In tutti i tuoi romanzi ci sono forti figure femminili. Spesso sono teen agers e legate agli ambienti dark (mi riferisco in particolare a Giada di “Lullaby” e a Mia di “Bambole pericolose”). Come riesci a distanziare le caratterizzazioni fra loro tanto da non creare “doppioni”? Su cosa ti basi?

Quando costruisco un personaggio parto da un’idea di base e poi cerco di lavorare di scalpello, come uno scultore sul blocco di marmo. Così Giada o Mia, per esempio, possono avere gusti simili o qualche caratteristica in comune, ma risulteranno molto diverse. È anche il background a fare la differenza. Mia ha perso la sorella e non si sente compresa dalla madre. Ha un’amica che in realtà esce con lei solo per riempire la solitudine, ha lasciato la scuola e lavora in un pub per mantenersi. Giada è una liceale che si sente diversa dal resto del mondo, i genitori sono distanti e scopre l’autolesionismo e la droga per mettere a tacere i ricordi dolorosi che spesso si affacciano dentro di lei.

Visto con l’occhio critico dello scrittore, la trama di “Lullaby” è complicatissima, mentre al lettore fugge davanti con una leggerezza incredibile. Un impianto del genere, con soggettive alternate e diversi colpi di scena, richiede un lavoro di progettazione enorme. Quanto hai dovuto smantellare, sacrificare e ricreare di nuovo, durante la stesura? E’ stato faticoso?

Sono felice che tu lo dica! È stato un lavoro immenso di stesure e poi di rifinitura. Lullaby è stato scritto e riscritto. A guidarmi sono stati i personaggi stessi, con le loro aspirazioni e i loro tentativi di vedere oltre l’apparenza. Alcuni passaggi sono stati rimossi perché potevano risultare fuorvianti. Per un attimo avevo persino pensato di pubblicare un blog con la versione “uncut” di alcuni capitoli! Sarebbe sorprendente, ti assicuro.

I riferimenti musicali non mancano mai nei tuoi romanzi. Qui si va dai Cure a Pupo, ma è chiara la predilezione per tutto ciò che concerne l’immaginario gotico e new wave. Spesso, i versi di un brano si intrecciano talmente alla scena che risulta difficile capire se sia venuto prima l’uovo o la gallina. Immagini prima la scena e poi abbini la musica, o talvolta alcuni brani ti ispirano le scene?

È strano, ma arriva tutto insieme. Come in un gioco di scatole cinesi la melodia “chiama” le parole e le parole richiedono quella specifica melodia. Alcuni brani li ho scritti con “quella” particolare canzone in sottofondo, che poi è letteralmente entrata nel testo. Il caso di Pupo è emblematico: Marcello è di buon umore, passeggia mangiando un gelato e me lo sono immaginato canticchiare un motivetto. Me lo sono trovato in testa senza doverci pensare: un tipo come lui non poteva che pensare a quella canzone!

Altra costante dei tuoi lavori è la forte componente erotica. Ogni storia, ogni personaggio, ha una caratteristica su cui però ti soffermi maggiormente. Qui, per esempio, si parla di autoerotismo giovanile, in riferimento a Giada. Si ha l’impressione che la sua intimità non abbia niente di volgare, sia ‘pura’, mentre il rapporto con Mirko, spesso censurato, sfocia nel vomito, quasi rifiuto e vergogna inconscia. Il sesso diventa dunque caratterizzazione indiretta. Cosa ti spinge a esplorare determinate sfere della sessualità in relazione a un personaggio e cosa a non approfondirle? Sono aspetti che nascono col personaggio o si delineano in fase di stesura?

Il sesso fa parte della vita. Non importa che sia più o meno praticato; penso influenzi gli equilibri personali. E al tempo stesso sociali. Non per niente Sant’Agostino disse: “Sottrai le prostitute al genere umano e ogni cosa sarà sconvolta dalle passioni della lussuria”. Voglio specificare che non ho il televisore, ma basta accenderlo per vedere ammiccamenti sessuali ovunque. Un sostituto della mancanza di contatti umani? Forse… La sessualità dei personaggi diventa un approfondimento. Nel caso di Eva, dopo un tentativo di stupro la ragazza non riesce ad avere rapporti interpersonali e rinuncia alla propria femminilità nascondendo il corpo con enormi felpe e jeans di due taglie più grandi. Per Giada è un modo per affermare la propria identità, al buio della sua cameretta, in un momento in cui i rapporti con le altre persone sono diventati complicati e si ritrova a provare un senso di inadeguatezza lacerante.

Il tuo stile è secco, conciso, ma anche ricco e metaforico al tempo stesso. Un andamento così ‘sognante’ potrebbe apparire frutto di una scrittura di getto, mentre la cura dei particolari è talmente limata che un occhio attento non potrebbe mai pensarlo. Si dice che la scrittura a penna fosse meno calcolata,  matematica di quella di oggi, che vede gli autori lavorare perlopiù al computer. Tu cosa fai? Scrivi direttamente al pc o stendi prima a mano?

Scrivo direttamente al pc; di solito butto giù una serie di capitoli di getto, per poi dedicarmi a varie riletture e riscritture. A fine stesura rileggo tutto il testo alla ricerca di possibili incongruenze di trama o di linguaggio.

Nelle tue storie l’impianto giallo si mischia sempre alle atmosfere gotiche e a scene crude, orrorifiche, e in “Lullaby” ce ne sono di raccapriccianti. Già sappiamo dalla precedente intervista quanto il cinema sia per te fonte di ispirazione, ma nella costruzione vera e propria delle scene di morte, come procedi? Quali sono gli aspetti con cui ti piace giocare? Il voyeurismo? La suspense? I cinque sensi? Il citazionismo? Il tipo di morte è calcolato sin dalla scaletta o durante lo svolgimento puoi visualizzare modi diversi in cui far morire un personaggio?

Voyeurismo in primo luogo. Guardo da una serratura e mi spavento insieme ai protagonisti. E poi entrano in gioco i sensi. L’odore del sangue ammorba l’aria, vedo il pallore di un volto esangue, ascolto i rumori sospetti: c’è uno scricchiolio. Che l’assassino sia alle vostre spalle? A volte vedo la scena di un delitto e cerco di ricostruirla, come se un film mi scorresse davanti agli occhi. Altre volte mi lascio guidare dal respiro rapace dell’assassino e la descrivo di getto, durante la stesura.

Puoi darci qualche anticipazione in merito al tuo prossimo lavoro che potremo leggere?

Una storia di formazione intrisa di amore e di morte. Con un elemento soprannaturale a guidare la trama.

Grazie mille, Barbara. Sei stata come al solito molto disponibile e speriamo di rivederci presto sulle pagine di Horror Magazine.

Grazie a voi. È sempre un piacere venirvi a trovare.