Viterbo. Luca è solo in casa la notte del 31 dicembre: la sua ragazza è in vacanza con i genitori, così ha deciso di passare la serata fra spinelli, whiskey e chat erotiche. Qui ‘incontra’ una misteriosa e affascinante Signora con una maschera d’oro, che lo invita in un castello sui Monti Cimini. Il ragazzo, offuscato dall’alcool, la droga e il desiderio sessuale, accetta e si ritrova all’interno di un maniero pieno di strani personaggi col corpo dipinto di bianco, che stanno compiendo un macabro rituale. Il giorno successivo, credendo di aver sognato, Luca torna sul posto e scopre che la costruzione non è altro che un convento. A questo punto, coinvolge nelle sue spericolate ricerche il coinquilino Francesco e, successivamente, pure le loro ragazze, incuriosite, si ritroveranno catapultate nella vicenda, ma, il ‘come’ e il ‘perché’, sono particolari che il lettore stesso dovrà scoprire, parallelamente all’entrata in scena dell’algida ispettrice Lucilla Simonetti.

La storia continua a scivolare fra misteri e antichi reperti etruschi, segreti di famiglia e morti cruente, boschi e chat, sempre in bilico fra l’horror e l’erotico, nello stile in cui Giovanni Buzi ci ha abituati a partire dai suoi racconti, fino ad arrivare al coraggioso romanzo Uragano (Delos Books, 2008).

Buzi riesce come al solito a trascinarci, non solo grazie all’immaginazione viva con cui introduce scene erotiche e orrorifiche, ma anche per la descrizione degli ambienti: i paesaggi gelidi dell’Etruria Meridionale, grigi e paurosamente indistinti, i labirinti sotterranei che partono dai tronchi degli alberi, quasi a simboleggiare freudiani anfratti femminili, il freddo del bosco, sono solo alcune delle scenografie suggestive in cui la verità viene cancellata dalla nebbia (anche agli occhi del lettore).

Come suggerisce Vincenzo Spadaro nell’introduzione “la prima sensazione nitida che trapela dal romanzo è il profumo di gelo, foglie morte e neve, quel pugno nello stomaco che colpisce il protagonista quando apre il portone di casa e si avvia verso il suo destino nel buio di una notte d’inverno”.

Gli antichi riti italici con protagonista il dio-toro che avvengono sul Monte Diana sono apertamente ispirati dai testi antropologici di Frazer e della Murray, difatti, un lettore più smaliziato potrebbe trovare le sezioni in cui l’autore riporta le ricerche fatte dai protagonisti su Internet troppo cariche di approfondimenti; tuttavia, l’equilibrio e la scioltezza del narrato non vengono meno, grazie soprattutto alla presenza massiccia di dialoghi carichi di umorismo.

Ci sono, in effetti, alcune pecche, per esempio, gli stacchi temporali sono talvolta troppo repentini, ma la scrittura semplice e scorrevole, priva di fronzoli (solo lo stile dei paragrafi che aprono i capitoli, dal punto di vista della Signora, è più ricco ed evocativo), nonché la trama intrigante, coinvolgono il lettore, e i capitoli costruiti ad arte costruiscono la suspense necessaria nello spingerlo a proseguire la lettura.

Se alcuni aspetti possono apparire prevedibili, il tutto è compensato dal mistero in cui è avvolto, appunto, il ‘perché’ (soprattutto in relazione alla fantomatica Signora) e sui rapporti intercorrenti fra i vari personaggi, ben caratterizzati.

In definitiva, si tratta di un buon romanzo, sia a livello d’intreccio, sia a livello di scrittura; forse non ai livelli di Uragano, ma sicuramente una lettura piacevole e affascinante, che contribuisce a confermare la ‘fisionomia stilistica’ dell’autore.