Salve Gianfranco e grazie per l' intervista. Parliamo del suo ultimo romanzo “Ho freddo”. La stampa ne parla come un buon esempio di libro sul vampirismo americano, le sue radici storiche e folkloristiche. Quanto è d'accordo?

Le critiche stanno appena cominciando a uscire, dunque per il momento le note stampa sono ancora generiche. Ma ho già avuto delle anticipazioni e dunque so che del romanzo si parla (e molto bene) come di un romanzo senza aggettivi, quindi al di là dei generi. E questo mi dà molta soddisfazione in quanto davvero ho voluto scrivere un romanzo punto e basta, non un oggetto merceologico, né un prodotto di "target".

Questo romanzo ha molte anime. Lei ha dato spazio alla ricerca scientifica, all'avventura, all'horror, alla suspense, all'investigazione, alla passione. Definirlo romanzo di genere non ha senso, ma in generale, ha senso parlare di romanzo di genere? Esistono?

Sì che esistono, anche se negli ultimi vent'anni i generi (in letteratura e in cinema) si sono molto mescolati e nessun genere può più considerarsi puro. Dunque i generi sono ormai una sopravvivenza, un modo piuttosto vecchio di definire settori di mercato, che potevano indicare qualcosa fin quando esistevano davvero lettori di tendenze e inclinazioni diverse e ben distinte. Oggi invece i lettori sono nomadi e passano disinvoltamente dalla saggistica al romanzo, dal giallo allo storico, dal romanzo classico a quello d'esordio. E per loro il giudizio, dopo la lettura, è uno solo: bello o brutto. Anche se nella maggior parte dei casi si accontentano di "decente". Ho sentito una ragazza in aeroporto dire di un best seller italiano: "Ho comprato il libro di X... be', pensavo peggio." Ecco. Io questo genere di lettori preferirei evitarli, mi piacciono quelli esigenti.

Gli incassi ai botteghini dell'ultimo teen-ager movie Twilight parlano chiaro: i lettori che lei evita vanno a vedersi il film. Il successo che negli anni passati ha investito la Rice e le opere derivate faceva sperare per un ritorno di una trattazione meno grossolana del tema vampiro, eppure gli ultimi risvolti deludono. Il taglio dato a “Ho freddo” rincuora, eppure fuori dal panorama letterario regna una policy che rasenta la banalità. Come vede il futuro di una figura così ambigua come il vampiro? Specchietto per le allodole per sovreccitati teen-ager, spunto per un'oscura analisi di un fenomeno mai compreso... c'è spazio per tutti?

Guai a parlare male dei teen-ager! Fino a pochi anni fa ci si lamentava che non leggessero niente, dopo Harry Potter si è visto che correvano festanti a comprarsi dei tomi da enciclopedia. E' ovvio che scelgano temi e stili che gli corrispondono. Oggi gli adolescenti si sentono come un mondo a parte, da cui gli adulti sono esclusi. Sono come i peanuts cresciuti. Per noi, da ragazzini, l'eroe in cui identificarsi era un trentenne (età classica dell'eroe) oggi è uno della loro età. Noi eravamo affascinati dall'estraneo più assoluto (Tarzan, Dracula) loro riescono a riconoscere il Diverso solo se fa parte del loro gruppo. Il successo di Twilight sta qui. Detto questo, mi auguro che crescendo passino a libri e film migliori, quanto meno dal punto di vista stilistico. Sul vampiro, il cinema di oggi ha molte colpe. Lo zombie lo si può raccontare documentaristicamente, il vampiro no, ci vogliono luci e atmosfere giuste, ci vuole una macchina produttiva da cinema classico, e oggi questo è molto difficile da ottenere per un autore cinematografico. Ecco perchè i film di zombie prolificano e ce ne sono anche di molto belli (come Rec) mentre quelli di vampiri fanno schifo.

Parlando delle molte facce di “Ho freddo”, qual'è il tema fulcro della narrazione?

Sono i protagonisti. Non esiste storia se non è storia di qualcuno. E non esiste tema che possa appassionare se i protagonisti non affascinano il lettore. Un protagonista, come una persona qualsiasi, non può essere monotematico, perchè la nostra vita è fatta di tante cose. I miei protagonisti sono due giovani medici e un pastore battista, ma non per questo si occupano soltanto di medicina e di teologia. Attraversano tutti e tre dei turbamenti sentimentali e sessuali, ma non per questo il romanzo diventa sentimentale o erotico. Vivono esperienze anche orripilanti, ma non si consegnano inermi alla paura e il romanzo, cioè la loro storia, non si rinchiude nell'horror. Il romanzo è un inno alla ricerca, non solo quella scientifica, ma quella spirituale, non solo la Ricerca della Felicità, ma la Ricerca di un senso alla propria vita.

Nella presentazione organizzata il 24 novembre dalla Gargoyle Books, lei disse: ” … aveva acceso la mia immaginazione non tanto per la storia della presunta vampira... ho sempre avuto un grande interesse per i sogni e in genere per la letteratura diciamo così visionaria... “. Il suo romanzo trasmette molta concretezza (la razionalità che si oppone alla faciloneria popolare, la ricerca medica atta a debellare una piaga come la consunzione), la dimensione visionaria sembra relegata dalla pesantezza della realtà. Ha cercato di invogliare il lettore ad una riflessione contraddittoria o il messaggio va letto diversamente?

C'è sempre molta documentazione storica dietro i miei romanzi e i miei fumetti. Ma questo peso della storia è sempre equilibrato dal sogno e dalla visione che scaturiscono dall'inconscio, non dalla cronaca. Così anche la razionalità si apre costantemente al Mistero.

Come sosteneva Leopardi, più si scopre, più ci rendiamo conto di quanto c'è ancora da scoprire. Non credo che nel mio romanzo la visionarietà venga asservita alla realtà. Anzi è la realtà stessa a essere percepita in modo visionario. Per esempio la minuta descrizione di ambienti, pratiche lavorative perdute, abitudini di vita lontanissime dalle nostre, schiude al lettore l'immaginazione, perchè cose di cui non abbiamo avuto diretta esperienza possono essere percepite solo facendo ricorso all'immaginazione.

“Ho freddo” vede come co-protagonisti un duetto di personaggi suggestivi e non convenzionali: un eccentrico medico damerino omosessuale e una ricercatrice nobildonna femminista. Cosa non traspare dal romanzo dei protagonisti che avrebbe voluto raccontare? Quello che non è stato detto sarà raccontato in futuro? Pensa a una sorta di saga dei fratelli?

Sto già studiando per il secondo romanzo di Aline e Valcour. Sarà anche un'occasione per approfondire i personaggi nel loro divenire. In questo romanzo ho parlato di più del loro passato famigliare che delle loro prospettive, anche se ci sono delle precise indicazioni in tal senso. Entrambi pensano di avere uno scopo, in linea con il proprio Destino, ma entrambi incontrano di continuo il Caso che li conduce a fare cose che non avrebbero mai pensato di fare. Io non credo che una biografia sia una sorta di natura genetica inscritta in noi dalla nascita, ma che le nostre disposizioni caratteriali si ridefiniscano sempre in rapporto alle esperienze che viviamo e che ci fanno crescere, anche al di fuori del programma di vita che ci hanno o che ci siamo dati. Una biografia è sempre in divenire, riscrive di continuo il proprio codice.

La malattia conduce a una condizione di emarginazione alcuni personaggi femminili del suo libro. Il tema del contagio e della donna ghettizzata sembrano sgomitare per assumere il ruolo di prima donna. In fase embrionale il libro a cosa avrebbe dovuto dare più spazio? Quanto pensa di aver centrato l'obiettivo?

La malattia ci emargina tutti e trasversalmente, non per classi sociali, né per orientamenti d'opinione. E' mia opinione però che donne e bambini in condizioni di malattia soffrano di un'emarginazione peggiore di quanto non accada per i maschi adulti. La loro emarginazione comincia prima. Il mondo che racconto in Ho freddo era segnato da una mortalità infantile altissima, ma nessuno se ne preoccupava, perchè si pensava che se un bambino non ce la fa a sopravvivere, allora tanto vale che muoia. E così si pensava che se una giovane donna si ammalava e non era dunque in grado di partorire, o se attraversava turbe emotive di crescita, ci fosse qualcosa di demoniaco in lei. La storia delle streghe di Salem (tutte ragazzine intorno ai quattordici anni) comincia da qui.

I suoi due protagonisti (Aline e Valcour) danzano tra il sacro e il profano in continuazione. Questo suggerisce un retaggio religioso nella sua formazione. La suggestione tratta dalla lettura, ha un fondamento? Se sì, quale?

Il primo fondamento è la Bibbia, che venendo io da una formazione protestante, è stata la mia prima lettura. Il secondo fondamento è la filosofia illuministica che è quella su cui mi sono formato durante gli studi. Il genere gotico cui mi ispiro comporta una continua altalena tra Ragione e Mistero. Il lettore di fronte agli eventi narrati si chiede costantemente: è realtà o è delirio? Questo modo di narrare oggi è raro. In letteratura e in cinema, specie nel genere horror, accadono le cose più assurde senza che nessuno si ponga domande. E' come se il lettore fosse complice fin dal principio e si dicesse: be', tanto è un romanzo, o un film, dunque può succedere di tutto. Ma in questo modo un romanzo o un film diventano pura evasione, cioè non mettono mai in questione il nostro rapporto con la realtà che ci circonda. E il vero horror va a farsi benedire, perchè non ha più alcun rapporto con le paure quotidiane che viviamo. La stessa cosa vale per la religione. Se si tratta di Padre Pio il fedele crede ciecamente ai presunti miracoli, da un medico invece si pretendono giustamente titoli di studio e cure sperimentate. E' come se intimamente ci dicessimo: religiosamente possiamo credere di tutto, scientificamente no. E' come se per noi la religione fosse una specie di fiction, quando invece entra in campo la realtà, allora subentra uno scetticismo assoluto e non ci fidiamo di nessuno. Ma il dubbio, la sospensione del giudizio, dovrebbe valere sia per la religione che per la scienza.

Aline e Valcour osservano un marasma di situazioni e fungono da veri narratori. La vicenda narrata senza questi due anti-paladini sarebbe sopravvissuta per più 550 pagine?

No, come ho detto, la storia è la loro storia. Sono i personaggi che mi hanno trascinato verso un romanzo fiume. Se mi fossi limitato al caso della "vampira" Sarah Tillinghast, ne sarebbe uscito un romanzo smilzo.

Concludendo. La fine del romanzo è sostenuta dalla necessità di dar conto e ragione del rapporto tra malattia e scienza. I protagonisti sono coinvolti nella costruzione di quello che oggi sarebbe un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico. Sicuramente non è casuale questa tematica. Perchè parlare di tale argomento, lo ritiene veramente attuale? La ricerca in Italia è in ginocchio e in futuro sarà ancora peggio, pensa che venga colto tale messaggio di allarme?

In realtà Jan, Aline e Valcour cercano di fondare una sorta di ospedale di Emergency. Tutta la medicina nel secolo XVIII è medicina di emergenza. Le grandi istituzioni ospedaliere nascono solo intorno alla metà del secolo successivo. Nel Settecento i medici visitavano gli ammalati casa per casa e dunque per loro l'insorgere della malattia era inseparabile dall'ambiente e dalle condizioni di vita e di lavoro dei malati. Oggi il malato è diventato una figura anonima, spersonalizzata, un puro portatore di malattia. Il Dottor House che va a frugare in casa dei pazienti per scoprire l'origine delle loro malattie, è in questo contesto una specie di sovversivo, un professionista che rischia sempre l'espulsione dall'ordine perchè viola la privacy dei pazienti. Ma riesce a curare i suoi casi difficili proprio perchè considera il malato come persona reale, in stretta relazione con il proprio ambiente. Alla fine del 700 nasce anche la ricerca sperimentale, con l'uso sempre più diffuso dei microscopi. Ora il fatto che oggi in Italia e in altri paesi occidentali si vada in direzione del potenziamento delle grandi Fabbriche Ospedale invece che dell'assistenza domiciliare, e verso la concentrazione della Ricerca presso Cliniche di Livello suddite delle esigenze del Mercato e delle Case Farmaceutiche, determinerà guasti inenarrabili, perchè è l'esatto contrario di quanto si dovrebbe fare. Infine a partire dalla metà del Settecento i medici si preoccupavano di scrivere e diffondere Manuali di Medicina Domestica che potessero aiutare le persone ad avere una migliore conoscenza del proprio corpo, abitudini di vita più sane e sapessero all'occorrenza curarsi da sole. Da questo punto di vista siamo tornati terribilmente indietro. Oggi quando ci ammaliamo non sappiamo mai cosa aspettarci, e ci consegniamo inermi ai medici come in attesa di un responso oracolare, limitandoci a sperare che il medico sia valido e abbia visto giusto o che le analisi non siano state scambiate. Nella Riforma dei programmi scolastici si reinserisce l'Educazione Civica, ma l'Educazione Medica non la si trova in nessuna proposta, né di governo, né di opposizione. Questo più che allarmante è demenziale.

Grazie ancora per il tempo concessoci. Sperando di potermi far nuovamente emozionare dalle gesta di Aline e Valcour la saluto. Buona fortuna per i progetti futuri.