Che quest’album piaccia o meno, che accontenti i fans o li deluda, che divida la critica e il pubblico oppure no, una cosa è certa: per la prima volta nella carriera dei Cure, non si tratta dell’album di Robert Smith, ma di quello di Porl Thompson.

Lo abbiamo rimpianto, lo abbiamo rivoluto indietro. Smith ha richiamato il cognatino a gran voce. E Porl si è preso tutto lo spazio che meritava. Il suo stile è inconfondibile: ogni nota della chitarra è data dal suo tocco riconoscibilissimo, ogni passaggio melodico è costruito con maestria e buon gusto, i suoni sono uno, nessuno e centomila, e le architetture costruite intorno ai loro scheletri sembrano talvolta svanire.

Pure Robert.

Molti brani sono interessanti e vengono raggiunti picchi di creatività notevoli; con altri, non proprio memorabili, si scade talvolta nel banale.

Si parte con la lunga intro strumentale di Underneath the Stars e l’idea che il vero protagonista sia Thompson si manifesta da subito. La chitarra domina su tutto: dai suoni ‘forestali’ riconducibili ai primi anni di attività del gruppo, a quelli più sofisticati dei ‘90.

The Only One è invece un brano dall’andamento spensierato e popeggiante, che cerca di richiamare i Cure dell’epoca aurea di metà anni ’80, riferibili a tre degli elementi in formazione (tornata a 4 con il redivivo Porl Thompson, appunto, il bassista Simon Gallup e il batterista Jason Cooper). Il riff orecchiabile, che potrebbe essere uscito da Kiss Me Kiss Me Kiss Me, è seguito da quello altrettanto intrigante (così come i cori cupi) di The Reasons Why, brano che ci riporta un po’ più indietro nel tempo, ma che non risulta indimenticabile. 

Saliamo ancora sull’altalena e ci troviamo davanti a un altro brano di pieno pop anni ’80, Freakshow, dove il gotico si fonde col beat anni ’60. Un bel brano catchy, non a caso scelto come secondo singolo. E la chitarra addirittura ci ammalia (con Sirensong), quasi fosse un gruppo di moderne Sirene del Pacifico. Purtroppo però, se non fosse per questo particolare arrangiamento, il brano si rivelerebbe insignificante. Cosa sia poi The Real Snow White risulta chiaro quando veniamo avvolti da sonorità psichedeliche, confezionate dalla modernità e dallo stile del gruppo.

Il mix fra’80 e ’90 si ripresenta con The Hungry Ghost. Le linee melodiche vocali sono orecchiabili, ma solo a un ascolto successivo. Non notevole quanto Switch, in cui Thompson riesce, come sua abitudine, a ricreare atmosfere elettroniche con il solo uso della sei corde. Il brano viene tirato quasi verso l’heavy e le sonorità appaiono struggenti.

Uno degli enigmi riguardanti questo nuovo lavoro dei Cure sta nella scelta del primo estratto, ovvero The Perfect Boy. All’interno dell’album c’erano sicuramente brani più validi e, secondo il mio parere, la scelta del singolo non è stata azzeccata. Il titolo e la tonalità maggiore non possono però non richiamare alla memoria la Perfect Girl di Kiss Me Kiss Me Kiss Me.

Dopo la scialba This. Here and Now. With You, uno degli episodi meno riusciti dell’album, incontriamo il terzo singolo: Sleep When I'm Dead, di gran lunga più affascinante del brano precedente. Radicato profondamente nella new wave, con un occhio strizzato all’orecchiabilità e ai suoni contemporanei, è il brano che avrebbe potuto rappresentare i Cure del 2008 e configurarsi quale primo singolo.

E torna una sorta di ninna nanna. Non riuscita quanto la celeberrima e impareggiabile Lullaby (“I've been this way before/But something down here changed”), The Scream è più versata sull’elettronica, sperimentale e caotica all’estremo (l’improvvisazione finale è al limite della sopportabilità acustica). Una ninna nanna per non dormire, in definitiva.

Infine, la chiusura del cerchio (It’s Over) si riaggancia specularmente alla prima traccia, presentando una lunga introduzione strumentale (tranne qualche rara inserzione vocale), decisamente rock. I soli chitarristici mettono il punto su chi l’abbia fatta da padrone e, quando entra definitivamente la voce, il brano acquista un bizzarro sound a metà strada fra rock e new wave.

Un buon album. Maturo. Tecnicamente valido. Anche se “sanza infamia e sanza lodo”.

Non si tratta certo di un disco di rottura o da storia della popular music come Three Imaginary Boys o Pornography, né di presa immediata come The Head on the Door, Kiss Me Kiss Me Kiss Me o Disintegration, ma comunque di un lavoro, nel complesso, di tutto rispetto.

Da non giudicare al primo ascolto.