Capita raramente, per fortuna, di imbattersi in pellicole che si rivelano una manualistica dell’orrore riuscita così male. Inutile e inconcludente dal punto di vista narrativo, disatroso da quello stilistico. Se contiamo che è stato girato nel 2004 e ultimato nel 2005, ma non è uscito nelle sale fino a metà 2006, possiamo intuire che la produzione ha tentato disperatamente di inserirlo sulla scia di film come Number 23, 11:14 Destino fatale o il remake di Omen, ispirati a quella branca dell’orrore che collega la paura ai numeri. Ma non è bastato a far decollare la pellicola. Perché?

In breve: l’11 Gennaio del 1992 (perché “2”?) una bambina uccide gli assassini dei genitori; per anni, il fantasma della madre continua ad accompagnarla, così come il numero 11:11, scritto dagli assassini col sangue e col fuoco, dopo l’omicidio. Nel frattempo, altri omicidi sembrano avere un collegamento con quello avvenuto anni prima, e la paura avanza.

Per loro, ma non per noi.

Tanto per cominciare, sin dall’inizio si nota un cattivo uso della macchina da presa, con errori di prospettiva al cambio di inquadratura e carrelli involontariamente traballanti. La fotografia è buia, grigia, gli angoli sono spesso sfuocati, i colori sbiaditi.

Come se non bastasse, l’introduzione lascia già intuire cosa succederà per tutta la durata del film.

Detto questo, potremmo pensare di trovarci di fronte a un bel film di serie B, e invece neanche questo.

È tutto troppo noioso. Momenti morti, silenzi inutili, inquadrature immobili che non comunicano niente allo spettatore, il gioco di sguardi a scuola fra i futuri innamorati, lei  che, turbata dal passato, si riempie di psicofarmaci… e non siamo ancora a 11:11 minuti!

Ma proviamo ad andare avanti: c’è il bagno in vasca presago di morte, un bussare alla porta che non svela nessun avventore, il desiderio di veder morta una persona in un determinato modo che si avvera, la morta che si alza credendosi viva e invece si scopre cadavere nella vasca, il funerale nel verde e la protagonista che vede fantasmi.

E di minuti ne sono passati appena venti.

I dialoghi sono lenti, dozzinali; i livelli di caratterizzazione dei personaggi non superano la macchietta; la recitazione è terribile (ma, perdoniamoli, come si potrebbe recitare bene su di una sceneggiatura simile?); il montaggio è confuso, non si capisce se ci sono passaggi fra realtà e sogno e, se sì, quando e perché; tutti gli omicidi vengono sfumati, i suicidi invece li guardiamo senza muovere un dito.

Un aspetto interessante, anche se non originale, avrebbe potuto essere il personaggio dell’amica immaginaria/fantasma che cresce con la protagonista. Peccato che l’identità venga svelata troppo presto, affinché risulti efficace.

Incontriamo, sì, scene in cui avrebbe potuto esserci buona e sana suspense, ma non c’è. Molte cose accadono senza motivo e ancor più senza senso appaiono le reazioni dei personaggi, come il mancato bacio lesbo fra la protagonista e il fantasma, che avviene improvvisamente e senza alcuna ragione.

Ma questo 11:11, dov’è?

Niente a che vedere con Bin Laden: in interviste alla radio sul paranormale, di sottofondo alle scene principali, nei bambini di Absalon e nella celebre profezia Maya sulla fine del mondo, totalmente scollegata al resto della storia.

“Tutto questo che cosa ha a che fare con tua madre?” chiede l’amico alla protagonista a un certo punto.

“Non lo so” risponde lei, infondendoci il dubbio che il dialogo non faccia parte della sceneggiatura.

E poi ancora scarpe che camminano mentre le guardiamo da sotto un letto, porte che si chiudono e non si aprono più, mentre con le lacrime agli occhi ripensiamo a Rosemary’s Baby e al piccolo Damien col suo 666 stampato sulla cute.

Consiglio vivamente di non arrivare all’imbarazzante finale, per non restare a scuotere la testa per dieci minuti... anzi 11:11.