Stephen King, gran maestro dell’horror, può essere considerato uno dei cantori del lato oscuro degli States. Benché incorporino spesso elementi tipici del gotico, le vicende che racconta ruotano sempre attorno a personaggi che mostrano come gli umani riescano a fare le cose peggiori senza averne coscienza, e credendo di fare la cosa giusta.

Senza citarla esplicitamente, King respinge la teoria etica intuizionista di George Moore (condivisa anche da Bertrand Russell) il quale suppone che gli umani abbiano un’idea immediata di ciò che è bene. Se così fosse, bisognerebbe spiegare perché allora si comportino come se non lo sapessero, e finiscano col fare il contrario.

Forse non basta vedere il bene per volerlo fare, ma per quale motivo? Prendendo spunto da Freud, potremmo parlare di “pulsione di morte”, a volte mascherata da Super-Io, ovvero il Male sotto le spoglie del moralismo. Ma già Socrate avvertiva che per fare il bene occorre conoscerlo e per sapere cos’è il bene occorre conoscere se stessi.

Questo è appunto ciò che manca agli umani che danneggiano se stessi e gli altri. Di fatto, è un difetto dell’intelligenza. Naturalmente questo difetto appare ancora più grave quando si presenta nelle persone che dovrebbero fare da garanti, ma non c’è alcuna garanzia, per l’appunto, che proprio loro siano più consapevoli (e dunque più sani) degli altri.

Uno dei libri in cui King se ne occupa è Rage, pubblicato nel 1977 con lo pseudonimo di Richard Bachman (Signet Books, New York) e in italiano col (fuorviante) titolo Ossessione (Sonzogno, Milano, 1988). Rage ovviamente è “rabbia”, e non “ossessione”. La particolarità di questo romanzo consiste nel fatto che sembra ispirato a dei fatti di cronaca, ma in un certo senso è il contrario: è come se i fatti di cronaca si siano ispirati al romanzo.

La vicenda ruota attorno a un liceale che, influenzato da una pessima figura paterna e in reazione ad altre circostanze poco felici della sua vita, un giorno attacca uno degli insegnanti facendolo finire in ospedale, e in seguito sottrae la pistola del padre (un ex militare), uccide due insegnanti e prende l’intera sua classe in ostaggio.

Il resto del romanzo è una sorta di rappresentazione teatrale non solo della situazione in atto, ma anche e soprattutto della vita del ragazzo, raccontata in retrospettiva per mezzo di alcuni episodi paradigmatici. A parte la tipica bravura mostrata da King nel mettere in scena le vicende che inventa, la storia non è solo un magistrale scavo psicologico nel mondo degli adolescenti (e degli adulti) ma anche una impietosa descrizione delle caratteristiche della società americana.

Ne emerge l’inquietante e inestricabile mescolanza tra normalità e patologia, e anzi la capacità della banale normalità di produrre patologia. Il concetto di patologia, peraltro, contiene in sé il binomio male-malattia, ovvero la difficoltà (o impossibilità) di distinguere il male dalla malattia, la volontà gratuita di nuocere dall’incapacità di evitare gli effetti nefasti derivanti dai propri peggiori impulsi.

A proposito della dinamica tra normalità e patologia, è molto significativo l’episodio in cui il protagonista, all’età di quattro anni, rompe tutti i vetri delle finestre. In conseguenza di questa bravata dovuta all’incoscienza dell’età, il padre lo spaventa a morte e la madre lo consola con una tazza di cioccolata. A nessuno dei due viene in mente di spiegare al piccolo vandalo che spaccare i vetri non è una cosa da fare, per una serie di motivi che, una volta focalizzati, anche un bambino di quattro anni è più o meno in grado di capire.

In riferimento a ciò che dicevo sul rapporto tra il romanzo e i fatti di cronaca, è accaduto che negli anni successivi alla pubblicazione del romanzo (scritto nel 1966, quando lo stesso King era di fatto un adolescente) si verificarono negli States alcuni episodi che coinvolgevano dei liceali che si sono messi a sparare all’interno della loro scuola. Ci fu chi interpretò questi eventi come un’imitazione di ciò che fa il protagonista di Rage, e lo stesso King non escluse l’ipotesi.

In esito all’esplicito accostamento tra il romanzo e la realtà della cronaca, King chiese al suo editore di ritirare dal commercio il romanzo. Ciò avvenne, anche se il romanzo rimase incluso (ma solo per qualche tempo) in un volume (The Bachman Books, NAL, New York, 1985) che raccoglieva i primi quattro dei sette romanzi (il primo dei quali è proprio Rage) che King aveva pubblicato con lo pseudonimo di Bachman. King ha anche scritto un saggio sulla questione: Guns (Phitrum Press, Bangor, 2013) che in italiano è stato pubblicato con il titolo Contro le armi (Marotta e Cafiero, Napoli, 2021).

Quanto al motivo per cui ha voluto usare uno pseudonimo, esso è legato al fatto che King scriveva più romanzi di quanti gli editori fossero intenzionati a pubblicare (ovvero uno all’anno) allo scopo di evitare una sovraesposizione dell’autore, e la conseguente saturazione del mercato. In linea di massima, nelle storie firmate come Bachman King ha evitato di inserire elementi soprannaturali.