Il racconto più famoso della storia della letteratura è forse quello della genesi di Frankenstein o il moderno Prometeo.

Siamo nel 1816. Quell’anno è storicamente noto come l’anno senza estate. È giugno, ma il clima è umido, freddo e cupo. Lord Byron e Percy Shelley si ritrovano a trascorrere le vacanze sul lago di Ginevra. Shelley è accompagnato da quella che diventerà la sua futura moglie, Mary, e dalla di lei sorellastra Claire Clairmont. Byron si trova lì con il suo amico John Polidori.

Le giornate sono fredde e tetre. Impossibile fare escursioni nei boschi o gite al lago. E così Byron, ispirato da un libro di storie di fantasmi regalatogli da un amico, lancia la sfida ai suoi compagni: chi tra loro sarebbe stato in grado di scrivere la storia di fantasmi più terrificante?

Nessuno, a quanto pare. Il risultato è discutibile.

Polidori scrive un racconto su di una vecchia che, sbirciando dal buco della serratura, assiste a cose indicibili. Claire Clairmont non ci prova nemmeno a mettere mano alla penna. Anche Percy Shelley non è a proprio agio con la scrittura e rinuncia. Byron inventa una storia su un vampiro che alla fine servirà da base per il romanzo di Polidori.

L’unica a riuscire è Mary Shelley. Il suo racconto inizia con questa frase:

Fu in una tetra notte di novembre…

Sì. Questo è anche l’incipit di Frankenstein, evoluzione proprio di quel racconto.

Dunque nonostante l’ispirazione sia arrivata in estate, Mary Shelley trasporta la sua storia in un freddo inverno artico, complice probabilmente il clima gelido di quel giugno. Ma è plausibile pensare che lo faccia soprattutto perché il clima invernale è da sempre perfetto per avvolgere terrificanti storie dell’orrore.

Non è un caso che già Shakespeare, in Il racconto d'inverno, scriva:

Un racconto triste è il migliore per l’inverno.

Dobbiamo però attendere l’età vittoriana perché le storie di fantasmi si trasformino in una tradizione natalizia. A dare nuova linfa al genere sono Wilkie Collins ed Elizabeth Gaskell. E i lettori sembrarono apprezzare l’abitudine di riunirsi intorno al fuoco la vigilia di Natale per lasciarsi terrorizzare da racconti di apparizioni misteriose e minacciose.

Uno degli esempi più noti è Canto di Natale di Charles Dickens. O ancora Il giro di vite di Henry James, anche questo pensato per incantare i lettori raccolti intorno al focolare natalizio.

È però Halloween a dare il via alla stagione dell’orrore, dei racconti del macabro e del soprannaturale. L’autunno ci porta streghe, fantasmi e demoni, crea l’atmosfera giusta e libera i fantasmi che ci accompagnano poi nei mesi successivi, quando le giornate si fanno più fredde e più buie. Così l’inverno si fa oscuro e spaventoso, legandosi strettamente al terrore.

Ed è inutile pensare che il caldo delle nostre case e l’allegria del Natale possano tenere lontani l’orrore e la perdita, essi rimangono nascosti appena fuori l’uscio, tra la neve.

Concetto che esprime decisamente meglio Edgar Allan Poe nel suo Il corvo:

Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento

dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento.

O Samuel Taylor Coleridge nel poema Christabel, che fu peraltro fonte di ispirazione di molti dei racconti dello stesso Poe:

La notte è fredda; la foresta spoglia

È il vento che si lamenta tetro?

Non c’è quindi da dubitare: il gelido inverno cela oscuri presagi.

Passando al racconto, troviamo il magnifico Neve silenziosa, neve segreta di Conrad Aiken in cui un ragazzo sprofonda in un mondo tutto suo, silenziosamente, lentamente, come la neve che cade. La schizofrenia si fa spazio nella sua mente, come i fiocchi che si posano e trasformano ogni cosa.

Tutti conosciamo poi la storia raccontata in Shining. Sia nel romanzo di Stephen King che nell’adattamento di Stanley Kubrick, la neve circonda l’Overlook Hotel e trasforma tutto in inquietante solitudine. Man mano che Jack Torrance perde la presa sulla realtà, la temperatura scende e la neve si accumula.

E persino una storia che di horror ha ben poco come I morti di James Joyce, racconto finale della serie di novelle e racconti raccolti in Gente di Dublino, ha come protagonista la neve che cade stancamente su Dublino, a ricoprire i vivi e i morti, tra i quali sembra passare ben poca differenza.

Quante volte abbiamo letto di personaggi che osservano la neve scendere da dietro una finestra? E quante volte questo espediente è servito a evocare sentimenti di terrore, vuoto, perdita, isolamento? Questo perché il buio, il freddo e il silenzio dell’inverno sono la cornice perfetta per le storie dell’orrore e perché il buio, il freddo e il silenzio sono quanto di più vicino alla morte e quindi alla paura.

Ma il compito dell’horror non è solo quello di terrorizzare, l'horror serve anche a prepararci a quanto di brutto potrebbe succederci, per alcuni è invece una forma di protezione contro le cose che potrebbero farci del male, per altri ancora una sorta di consolazione.

E così è valso per Mary Shelley e i suoi compagni. Quando torna in Inghilterra, il gruppo di amici viene travolto da una serie di tragici lutti, a riprova che le storie spaventose che raccontiamo sono sempre un po’ meno orribili di quanto può essere la realtà. E soprattutto in una stagione che è da sempre associata alla vecchiaia e alla morte, le storie dell’orrore rinfrancano perché mettendoci di fronte alle nostre angosce, ci permettono di affrontarle. L’inverno ci presenta i nostri demoni perché possiamo esorcizzarli.

Al caldo delle nostre abitazioni, in compagnia di mostri che sono finzione, possiamo finalmente sentirci al sicuro.