Non è per nulla semplice trovarmi a parlare di questo libro.

E sapete perché?

Perché è un classico della letteratura vittoriana.

E ora ditemi voi, amici miei, come posso io, semplice lettrice che millanta doti da blogger, avere l’ardire di pronunciarmi su queste fondamenta della letteratura mondiale?

Non posso.

Quindi perdonatemi, cercherò solo di invogliarvi, mio malgrado, nel leggere e impossessarvi di questa piccola, lucente perla fatta di parole e arte.

Innanzitutto credo sia doveroso spendere due parole, giuro, sarò breve, per la nostra valente autrice.

Per chi non lo sapesse, ma so che i miei lettori sono fantastici e sapienti, Charlotte Riddell, conosciuta anche come Mrs J.H. Riddel, è stata una talentuosa scrittrice irlandese, molto popolare e influente nel periodo vittoriano.

E quindi non possiamo certamente recensirla.

Recensireste mai Eco?

No, non credo.

O almeno voglio ritenere questo mondo dotato ancora di un certo pudore e di una certa riverenza verso la bellezza.

Se cosi non fosse… siete messi male.

Anche perché la nostra Riddle fu autrice non di uno ma di ben cinquantasei libri, e racconti e divenne proprietaria e editrice del St Jame’s magazine una di quella riveste letterarie fondamentali che abbellivano la Londra del 1860.

Il suo primo romanzo fu The moors and the fens del 1858 pubblicato sotto lo pseudonimo di F.G. Trafford.

E da lì, romanzi e racconti ebbero una fulgida carriera, si susseguirono sotto gli occhi incantati dei lettori dell'epoca in rapida successione tra il 1858 e il 1902.

Tra i più notevoli permettetemi di citare George Geith di Fen Court reso dramma nel 1883 da Wybert Reeeve, prodotto a Scarborough e poi in Australia.

Che donna, non trovate?

E non solo il St Jame’s, ma anche la rivista Home degli anni sessanta, e ha scritto brevi racconti per per la Society for the Promotion of Christian Knowledge e gli annuali natalizi di Routledge.

Insomma, ragazzi, non ci troviamo davanti né una novellina, né un'annoiata signora. Ma un'artista.

Ma qual è la sua vera caratteristica?

Quale poetica porta con sé?

Essenzialmente, fu una feroce critica di uno degli elementi portanti del vittorianesimo, quel capitalismo sfrenato che portò sì a una sorta di agiatezza e un onore al mondo inglese soprattutto.

Ma che fu responsabile anche di grandi drammi e contraddizioni sociali.

Per l‘epoca era il denaro a dettar legge.

Non certo i talenti, né l’impegno.

Una buona rendita poteva comprare persino il titolo nobiliare.

E questo successo si accompagnava con una strana rigidità dei costumi che faceva apparire la società florida sì, ma chiusa e stagnante.

In più, questo proto-capitalismo fu il responsabile di molte tragedie come il lavoro minorile e la povertà di alcuni quartieri, messi all’ombra della city avvoltoio.

La Riddle, cosi come Dickens e persino la bella Bronte (in Shirley diede fuoco alle polveri) fece del commercio il tema di molti romanzi.

Non esaltandolo, ma mettendo i luce le sue parti meno nobili.

Questo elemento, introdotto persino da Balzac, fu una vera novità: non si rappresentava più la società in modo edulcorato e incantato, ma in modo lucido e cinico.

E questo potere, raro ma suadente, di descrivere i luoghi, persino quelli di cui non aveva affatto conoscenza, dava al racconto una sorta di nota dolente: la city e ogni anfratto di Londra non erano soltanto descrizioni ma simboli ricchi di sfumature adatti a raccontare le emozioni, le sensazioni, le speranze di ogni personaggio.

E persino le sue sconfitte.

È attraverso la descrizione minuziosa, quindi, in beffe al nostro show dont’ tell, che la Riddle parla di temi importanti, e persino fantasticamente attuali.

In The open door le storie di fantasmi, di cui è peraltro famosa, diventano quindi un pretesto per portare avanti questa dialettica, rivoluzionaria: la casa in cui la porta della giustizia non riesce a chiudersi se non puntando la cupidigia è l’emblema di un discorso vittoriano lasciato aperto, dove la lotta per la sopravvivenza di stampo capitalistico è feroce e spietata.

E le presenze non inquietano tanto quanto il destino di un giovane che deve scendere a patti con questo sistema, negare se stesso e tentare di dimostrarsi degno di una macchina i cui meccanismi finiscono con lo stritolare i sogni, i puri e i diversi.

Ecco che la volontà di chiudere la porta è la volontà di un mondo di riparare ai torti e restituire all’etica il suo posto privilegiato: la casa simbolo di sicurezza e legami solidi viene continuamente infestata non già da reali presenze, quando da un male che ha radici più concrete e pericolose.

Ecco perché questo racconto risulta davvero agghiacciante e non ti permette di accantonarlo come una banale storia di fantasmi.

Perché quella porta, in fondo, non siamo mai riuscita a chiuderla.

E il capitalismo ghigna famelico.

Cosa dirvi se non meraviglioso?

Ah sì, se vi interessa open door fa parte di una raccolta weird stories assieme a altri cinque capolavori come Fairy Water, The Uninhabited House, The Haunted River, The Disappearance of Mr. Jeremiah Redworth e The Nun's Curse.

Ecco, non è che potete tradurmi anche questi?