Nel 1977 l’Italia vive uno dei periodi più bui e violenti della propria storia repubblicana.

L’economia arranca come oggi e, esattamente come oggi, non sono certo tempi allegri.

L’inflazione è arrivata al 20% e, con frequenza allarmante, si legge o si sente di morti ammazzati a causa del terrorismo “nero” o “rosso”.

Come se non bastasse si registrano numerosi incidenti di piazza, scioperi, scontri tra polizia e manifestanti e situazioni in cui sempre più spesso si arriva a scambiarsi il piombo.

Al centro di tutto questo putiferio c’è, in particolare, una città: Torino. Solo pochi mesi prima infatti, proprio nella città della FIAT già messa a dura prova da fortissimi contrasti sociali, si apre il famoso maxiprocesso ai capi storici delle BR, che gli estremisti fanno di tutto per interrompere, al ritmo quasi quotidiano di aggressioni, ferimenti e omicidi.

Ed è in questo clima così cupo che, giusto quarant’anni fa usciva, edito dalle Edizioni del Formichiere, il romanzo Le 20 giornate di Torino, di Giorgio De Maria. Col “20” del titolo scritto così, in cifre.

Personaggio dalla biografia quantomai interessante e ricca di aneddoti tra il visionario e il maledetto, Giorgio De Maria; episodi che raccontano la storia quasi mitologica, già illustrata in numerose altre sedi, di un uomo sicuramente geniale ma vittima, lui stesso, di un suo lato oscuro. Tutto questo fino alla sua morte, avvenuta nel 2009 e passata inosservata proprio come il suo ultimo romanzo. Almeno fino all’inizio di quest’anno, quando – esattamente dopo quarant’anni – Le venti giornate di Torino (stavolta scritto in parola) viene dissepolto e riportato alla luce prima grazie all’interessamento dell’americana Norton e poi, sulla scia di giudizi entusiastici (uno fra tutti quello di Jeff Vandermeer), anche in Italia, per merito di Frassinelli.

Curatore dell’opera è lo scrittore torinese doc Giovanni Arduino che, tra l’altro, al romanzo di De Maria dedica anche l’ebook Il diavolo è nei dettagli (consigliatissimo) che racconta la genesi del libro e la singolare storia del suo sfortunato autore.

Dopo questo lungo preambolo, veniamo anche un po’ a parlare della trama che vede un anonimo narratore guidarci attraverso un’indagine riguardante un caso di follia collettiva che colpì Torino dieci anni prima.

Veniamo così a conoscenza del fatto che, nella notte del 3 luglio, complice forse il caldo torrido e la perdurante siccità, la gente iniziò a soffrire di insonnia, a sentire un fastidioso odore di aceto nell’aria, a comportarsi in maniera assai bizzarra e, in maniera bizzarra e alquanto terribile, anche a morire. Una spirale di angoscia e di paranoia che, nell’arco di soli venti giorni, portò scompiglio e paura in tutta la città – specialmente nel centro storico – e che in seguito tutti fecero del loro meglio per rimuovere.

Il protagonista senza nome scopre che tutto pare essere legato alla presenza, in quei giorni, di una biblioteca molto particolare gestita da giovani educati e di bell’aspetto; un luogo ambiguo in cui, anziché custodire tomi antichi e ricercati, si potevano (pagando una cifra simbolica) depositare dei quaderni con le proprie opinioni, i propri segreti e desideri inconfessabili. Il tutto rigorosamente in forma anonima.

I fruitori che leggendo questi “post”, come ci verrebbe da chiamarli oggi nell’era facebookiana, volevano conoscere il nome degli autori, potevano farlo dietro il pagamento di una somma di poco più alta. Molto appassionante e coinvolgente pertanto sarà entrare in questa sorta di metaforico giardino, in cui si biforcano due sentieri e due tracce narrative così apparentemente scollegate tra di loro.

Il libro, va detto, tende per sua natura a dividere moltissimo e a tranciare pareri con l’accetta; il personalissimo consiglio che ci sentiamo di dare è perciò quello di iniziarlo e terminarlo tutto d’un fiato, nel giro di poche ore. Operazione resa non certo impossibile sia dalla brevità del testo (poco più di 150 pagine, più una novella che un romanzo vero e proprio), ma anche e soprattutto – aggiungiamo noi – dal forte coinvolgimento ed estrema curiosità che riesce a suscitare nel lettore.

Affrontare Le venti giornate di Torino a tappe, crediamo che porterebbe inevitabilmente a uscire dall’atmosfera enigmatica e infarcita di arcani presagi che, fin dalle prime pagine, fa sprofondare chi legge in una dimensione “altra” e l’esperienza di comprensione ne soffrirebbe in modo probabilmente decisivo.

Opera di difficile catalogazione e realizzata con uno stile che oggigiorno appare deliziosamente retrò, ci sentiamo di suggerire caldamente la lettura de Le venti giornate di Torino soprattutto agli amanti del realismo magico di grandissimi autori come Borges e Kafka e in generale agli appassionati di mistero ed esoterismo. Oppure, molto più semplicemente, a chi apprezza una buona, vecchia e inquietante storia.

LE VENTI GIORNATE DI TORINO 

di Giorgio De Maria 

Frassinelli Editore

150 pagine 

17,50 euro